(ANSA) – NAPOLI, 17 FEB – Raccontare la storia di un vino, ripercorrerne le peripezie, seguirne le fortune fra banchetti di corte e consumo nelle osterie, cercarne le tracce anche in luoghi dove non ti aspetteresti di incontrarlo. Tutto questo significa non solo parlare del vino stesso, in questo caso il Pallagrello, ma tracciare la storia di un intero territorio, l’Alto Casertano, perché solo la conoscenza delle radici può aiutarci a capire il presente (e il futuro). Il nuovo libro di Manuela Piancastelli, giornalista e vignaiola, “Pallagrello il vino del vento, del fiume, del re”, edito da Valtrend (18 euro), assolve al difficile compito di trovare le tracce del Pallagrello, vino riscoperto alla fine degli anni Ottanta del Novecento dopo un secolo di oblio, tra antiche fonti documentarie, oltre duecento, scovate nel corso di vent’anni di ricerca. Il volume, scritto in maniera appassionata (l’autrice è stata con il marito Peppe Mancini l’artefice della riscoperta di questo antico vitigno) e con stile giornalistico, parte dall’ultimo pasto dei monaci benedettini di San Vincenzo al Volturno, massacrati nell’881 dai Saraceni, durante il quale molto probabilmente consumarono come frutta uva Pallagrello fino alla testimonianza di Peppe Mancini sulla sua casuale riscoperta. La storia si concentra soprattutto sul periodo borbonico, quando Carlo prima e poi suo figlio Ferdinando di Borbone si appassionano al vino di Piedimonte (veniva così chiamato dal più importante luogo di produzione) proponendolo nei banchetti di corte con i più famosi vini francesi alla moda, ossia i Claret e gli Champagne, fino alla creazione della Vigna del Ventaglio, una delle più belle vigne della storia, a forma di ventaglio appunto, nel Real Sito di San Leucio di Caserta.
Il Pallagrello bianco e nero (Piedimonte bianco e rosso), uniche uve campane, con la Vigna del Ventaglio entrarono così a far parte di quello che a tutti gli effetti fu la prima collezione ampelografica delle più importanti varietà del Regno: tutto ciò creò non solo fama al vino ma soprattutto lo rese identitario rispetto ai luoghi di produzione. Oggi questo concetto ci appare quasi scontato, eppure non è stato sempre così. Basti pensare che ancora a inizio Novecento veniva consigliato, dal Ministero dell’Agricoltura, di espiantare i vitigni autoctoni per impiantare quelli più importanti extraregionali (trebbiano, malvasia, barbera) al fine di contrastare l’armata dei vini francesi.
Il volume è ricco di spunti e curiosità: tra le tante, la presenza nel secolo XIX nell’isola di Malta del Pallagrello, forse portato dai Cavalieri dell’Ordine di Malta. Ma anche la scoperta dei prezzi del vino Pallagrello, fra i più cari sulla piazza di Napoli, a conferma del suo prestigio, tanto da essere citato, come autentica gloria del Regno, nei più importanti Dizionari geografici, vere e proprie guide del viaggiatore ante litteram. Manuela Piancastelli affronta anche le conseguenze della micidiale fillossera ma soprattutto del processo di industrializzazione nella zona di Piedimonte, dove i famosi cotonifici che davano lavoro fino a tremila operai, di fatto distrussero l’agricoltura avendo spostato le “braccia” dai campi alla fabbrica. Insomma, questo libro è non solo un viaggio nel mondo del Pallagrello, ma un tassello nella storia della viticoltura della Campania, imprescindibile per chiunque si occupi di storia dell’enologia e dell’agricoltura.
Il volume sarà presentato a Napoli, nella Libreria Iocisto, venerdì prossimo, 24 febbraio (ore 18) con il giornalista Luciano Pignataro, Tommaso Luongo, presidente dell’Associazione Sommelier Campania e Mauro Felicori, assessore alla Cultura della Regione Emilia Romagna ed ex direttore generale della Reggia di Caserta. (ANSA).
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