Aureliana
di Mimmo Carratelli (da: Corriere dello Sport del 30.03.2023)
Alla fine della giostra, questo scudetto annunciato e smargiasso, nato in anticipo, questo scudetto settimino sar in tutto e per tutto lo scudetto di caccia ‘e sorde, pappone, vattnne ‘alloco, vattnne a Bari, fatti ‘nu film, il tuo progetto un vero fallimento prenderti a calci il nostro intento, lo scudetto di Aurelio De Laurentiis vituperato e vituperante, un cazzo avete vinto e sempre questa storia di Maradona (dice lui), questa citt vive solo di passione non merita un presidente buffone (dicono loro), lo scudetto degli invincibili allisciato da Spalletti alla fine sar proprio uno scudetto aureliano, in tutto e per tutto lo scudetto di Aurelio De Laurentiis, della sua antipatica padronanza, della insopportabile superiorit e della immanente barba bianca, alla fine, prendi Cavani, vendi Cavani, prendi Higuain, vendi Higuain, Aurelio De Laurentiis vince e stravince su tutta la linea, il bilancio in ordine, nessun debito, pagamenti precisi, i conti tornano e torna lo scudetto nella diciannovesima era aureliana, la trentatreesima d.M., dopo Maradona, e la prima a.C., avanti Costantinopoli, Istanbul.
Lo volevamo trascinare a Piazza Mercato per avere preso Donadoni e Gattuso, Britos e Hysaj, Hoffer e Navarro, Uvini e Fideleff, Michu e Bakayoko, e all’intrasatta Insigne manca, Koulibaly manca, Mertens manca, sul ponte sventola bandiera bianca, e a Dimaro nell’estate del ridimensionamento meglio che non ti fai vedere, e Aurelio non si fa vedere, buffone e prepotente Napoli della gente, e miett”a meglia: fiutato l’affare nasce l’azienda familiare ostaggi di un pezzente non vinceremo niente, la piazza monta la forca, non voler vincere ma lucrare sulla nostra passione sei tu il malus, lurido buffone.
Poeti anonimi si sono dilettati nel tempo nel vergare rime baciate dall’odio su striscioni di venti metri senza mai un fremito della barba di Aurelio, senza smuoverne la capigliatura compatta, senza turbarne la persona robusta. Diciannove anni di improperi. N santo e martire, n navigatore e neppure poeta, Aurelio emerge dall’inferno napoletano come torre ferma che non crolla giammai la cima per soffiar di venti, la bocca sollevando dal fier contrasto.
Immenso Aurelio, gigante d’amianto, mitologico unicorno, nato brillante, astuto e cinico sotto il segno dei Gemelli, ascendente Hollywood, pane al pane e vino al vino, condottiero dei condottier d’Omero, una sola volta capitano di Ventura, ma da Benitez a Spalletti non sbaglia un colpo, parsifallo che recupera il Santo Graal dello scudetto, Orlando furioso, nave con nocchiere Giuntoli in gran tempesta, non cinema di provincia ma bordello, il presidente pi contestato della storia del Napoli, ‘a ressa ‘n mane ‘e ccreature.
Aurelio che depista, e cerca Conceiao, Emery, Mihajlovic e Allegri dal quale apprende, in tre sedute nella tana cinematografica romana, tutto lo scibile pallonaro che nel bagaglio futbalistico di Acciughina che spiega, dispiega e dice no, e poi Capello gli suggerisce Spalletti, ma no, che cazzo dite, ma che cosa andate inventando, Spalletti l’ho cercato io, nessun suggerimento, nessun consiglio, proprio cos Aurelio andato all’Orto botanico di Milano, quel palazzo con le ringhiere a broccoli, mentuccia e lattuga, il Bosco Verticale, e ha detto a Spalletti vieni a Napoli, e lui venuto, un’altra intuizione, Aurelio rivendica e aggiunge sento dire solo cazzate.
Aurelio non sar mai barbapap e non sar mai ‘nu bab, star ritto sul carro del vincitore, il carro di s medesimo, e il suo canto libero sar futtteve, ti, ‘o scudetto mio e lo gestisco io, non lo dedico neanche a san Gennaro, basta con la napoletanit e ‘o mandolino, e ‘a pizza e ‘o sole mio, ‘a pizza meglio a Roma e ‘o sole meglio a Los Angeles.
Imprenditore moderno di un calcio senza lamenti e sentimenti, nudo e crudo, pensato e progettato, vinto al computer, anema e core roba passata di quando Lauro sfilava e Ferlaino filava, chi nun tne curaggio non se ccca che ‘e ffemmene belle, quel calcio avventuroso destinato al fallimento.
Aurelio e il suo canto IV: quegli Osimhen centravanti sovrano, l’altro Kvara satiro georgiano, Kim il terzo, e l’ultimo Lozano, cos vidi adunar la squadra bella dei gol a catinella, Rrahmani e Mario Rui superati i secoli bui, Anguissa l’Africa che va e Lobotka che sa, Meret e Zielinski e non sono pi fischi, Di Lorenzo capitano, ed ecco il fiero Politano, e Spalletti lo gran toscano che ha messo mano allo scudetto tricolore, s ch’io fui primo tra cotanto senno, cos n’andammo sino alla vittoria, crepi il lupo e datemene la gloria.
Aurelio il Magnifico al quale non devi chiedere mai, Aurelio che da Capri avanzando veleggia, Aurelio che a dir le sue virt basta Dazn. Cos percossa e attonita Napoli sta. Aurelio fedele al messaggio di Arrigo Sacchi: occhio, memoria, pazienza e bus de cul. Aurelio, romano di Castelvolturno.
Che cosa possiamo dire? Viene in soccorso Antonello Venditti: stare insieme a te stata una partita, va bene hai vinto tu. Bisogna inventare un grazie per Aurelio. ‘Na sigaretta mmocca, ‘na mano dint”a sacca, l’uocchie sott”o cappiello annascunnute, ma bisogna dirgli grazie.
Con garbo, con eleganza.
Grazie, Aurelio. Anche con gentile distacco: grazie, dottore Aurelio. Comandante no e nemmeno ingegnere. Tutta n’ata storia. Ma grazie Aurelio bisogna dirlo, anche se nun ce sta’ piacere nemmeno a sta’ ‘nzieme pe’ ‘na sera. Non dobbiamo fare comunella, non il caso di bene mio core mio, questi sono tempi asciutti, di stima e di rispetto.
Grazie, signor De Laurentiis, ‘a maronn v’accumpagn, san Gennaro vi protegga, Giuntoli e lo Spirito Santo vi illuminino, ma lasciamm sta’ ‘a pizza romana…