La cattura del boss
Umberto De Giovannangeli — 18 Gennaio 2023
“Cose di cosa nostra è il libro scritto a quattro mani con Marcelle Padovani con cui Giovanni Falcone nel 1991 quando era solo ed esposto, ha raccontato la mafia al mondo. Quel libro è ancora una pietra miliare per capire il lavoro di Giovanni Falcone. In qualche modo è stato il suo testamento professionale”. E ancora: «Trent’anni dopo (la strage di Capaci, ndr) è il momento dei bilanci, e uno dei modi migliori per tracciarli è senza dubbio quello di leggere l’ultimo libro della giornalista francese Marcelle Padovani, Giovanni Falcone – Trent’anni dopo (Sperling & Kupfer, 2022), ideale seguito del prezioso saggio scritto dalla Padovani e dal giudice Falcone».
Così i giornali parlano dei lavori della storica corrispondente in Italia del settimanale francese Nouvel Observateur. E a chi le chiede il perché del nuovo libro, lei risponde: «Non è una scelta ideologica, ma la scelta di una persona che vive nel laboratorio italiano da quarant’anni e che ha potuto verificare che in momenti molto critici l’Italia ha le risorse per inventare delle cose: sarà anche vero che l’Italia ha inventato la mafia ma ha inventato anche gli strumenti a contrasto: l’antimafia». E l’arresto di Matteo Messina Denaro rientra in questi momenti. Padovani è stata tra i 15 vincitori del Premio Paolo Borsellino 2022 istituito 30 anni fa per onorare la memoria del magistrato siciliano ucciso dalla mafia.
Cosa rappresenta l’arresto di Matteo Messina Denaro nella storia della lotta alla mafia?
Ci sono diverse cose che mi hanno colpito. Anzitutto, la conferma dell’efficacia straordinaria dell’antimafia italiana. Efficacia dovuta a un sistema legislativo che è stato messo in piedi negli anni e che è alimentato da fattori concreti, le forze dell’ordine, una magistratura particolarmente efficaci. L’altra cosa che mi pare importante sottolineare è che assistiamo, definitivamente credo, alla sconfitta militare di Cosa nostra. Bisogna tenere bene a mente che Totò Riina, arrestato il 15 gennaio ’93, non è stato ufficialmente sostituito, come capo di Cosa nostra, da una commissione che si sarebbe riunita per eleggerlo. È solo per pura fantasia che si è potuto scrivere che il capo di Cosa nostra era Messina Denaro. Un’altra cosa che m’interessa molto è la discussione che si è aperta un minuto dopo la sua cattura, se Messina Denaro parlerà o non parlerà.
Qual è la sua opinione in merito?
Per azzardare previsioni, occorre inquadrare bene la figura di Matteo Messina Denaro. Lui è un uomo molto colto, molto religioso, che ha frequentato assiduamente alcune chiese palermitane, una in particolare, con un rapporto molto intimo con il prete di quella chiesa. Credo che sia un uomo capace di riflettere e di prendere delle decisioni non note in partenza. In tal senso, mi ha molto colpito la sua corrispondenza con l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonino Vaccarino, diventato poi un uomo del Sisde. Costui ha corrisposto per due anni interi – dal 2004 al 2006 – con Messina Denaro. In questa corrispondenza, Vaccarino si firmava con il nome “Alessio” mentre Messina Denaro si presentava come “Svetonio”, uno storico romano, il che vuol dire una certa idea della cultura. Nelle loro lettere c’è moltissima cultura . A un certo punto, Messina Denaro parla di Benjamin Malaussène, il personaggio centrale, l’eroe nei romanzi del Ciclo di Malaussène di Daniel Pennac. E lui dice: io sono una specie di Malaussène. Per capire il personaggio bisogna anche rendersi conto delle componenti della sua personalità. Ci sono gli elementi per riflettere e prendere una decisione, che sia culturale o religiosa. C’è un’altra questione che mi ha interessato e di cui quasi nessuno ha parlato esplicitamente…
Vale a dire?
Che lui era già un’altra mafia. Non era la mafia stragista come tutti scrivono. Ma no, non è così. Lui non è mai stato direttamente attore delle stragi. È tutto da dimostrare. È responsabile sicuramente, ma non vuol dire attore. È stato invece attore di un’altra mafia. La mafia dell’economia, una mafia molto radicata sul territorio. Lui è il “re” del trapanese, non è il “re” della Sicilia. Radicatissimo in quell’area, ha preso delle decisioni economiche anche originali, ad esempio investendo nel settore eolico. Aveva già fatto il salto sulla nuova mafia, quella di cui ci parlano adesso Giovanni Melillo e le persone che si occupano del futuro della lotta alla mafia, quando spiegano che oggi le mafie hanno deciso di entrare illegalmente nell’economia legale. Entrando nell’economia, non facendo la guerra allo Stato. E Messina Denaro l’aveva fatto, lo faceva già da alcuni anni. Era, secondo me, una specie di precursore di questa nuova linea delle mafie, che sarà difficile da combattere perché le pratiche illegali non le fanno soltanto i mafiosi,
Da tutta questa storia quale insegnamento, a suo avviso, la politica dovrebbe trarre?
La modestia. Non cantare vittoria, non dire: è merito nostro… Nessuno a livello politico, dell’esecutivo, è stato capace di pensare, preparare, organizzare, quello che invece è stato capace di pensare, organizzare e portare a termine, tutto un mondo dell’antimafia concreto. Sono veramente colpita, e non da oggi, dalla qualità straordinaria del “ceto” medio degli antimafiosi. Quando parli con un carabiniere, un poliziotto, uno della guardia di finanza coinvolti nella guerra alla mafia, beh, ne sanno moltissimo e sono molto lucidi e capaci. Questo è “ceto” straordinario, molto più della classe dirigente politica.
Quando si parla della storia della lotta alla mafia, non si può non ritornare a Giovanni Falcone e ai bellissimi libri che lei ha scritto con lui e su di lui. A caldo, subito dopo l’arresto di Messina Denaro, lei ha affermato: “Giovanni Falcone ha sempre pensato che la mafia conosce un inizio, un apogeo e una fine. Oggi direbbe siamo alla fine”.
Sì, lo penso. Quella è una frase che Falcone ha detto pubblicamente e non soltanto a me. Lui sapeva di cosa parlava. La mafia è un fenomeno umano, un fenomeno delle società post industriali e anche prima della rivoluzione industriale, che è nato e si è sviluppato e avrà una fine. Lo credo anch’io. Aveva ragione Falcone. Cosa nostra è finita. Poi ci sono le altre mafie.
Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.
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