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De Benedetto, una storia incisa nel legno dal 1918 – Senza Colonne News – Quotidiano di Brindisi

di Giovanni Membola per il7 Magazine

Accarezzava il legno sul quale doveva lavorare, al tatto ne studiava la qualità e sentiva la forma che stava per assumere quel materiale nobile. Ogni mattina Domenico De Benedetto salutava in questo modo le cataste di legame pronto a trasformarsi in botti e in contenitori per alimenti, una affascinante tradizione artigiana che prosegue ancora oggi, con il pronipote Paolo, a distanza di cento anni.
Domenico era nato a Barletta in una famiglia di falegnami, un mestiere che portò con sé a Brindisi quando fu chiamato dallo stabilimento SACA per produrre casse in legno per le munizioni. La sua abilità artigianale venne raffinata presso la ditta Zaccaria, un’azienda locale specializzata nella produzione di fusti e barili di vari formati, dove imparò l’arte di realizzare le botti a mano. Il lavoro presto diventò passione, per questo nel 1918 decise di fare il grande passo ed aprì un suo primo laboratorio artigianale in via Cappuccini 7-9, quasi ad angolo con via Adamello e via Osanna, nei locali utilizzati in precedenza come stabilimento vinicolo da Teodoro Romano. In quegli anni l’attività era molto intensa, trainata soprattutto dal grande sviluppo della vitivinicoltura brindisina, favorita dall’enorme richiesta di mosti e di vini da taglio sul mercato nazionale ed europeo. La piccola industria locale di costruzioni di botti in legno per il trasporto e la conservazione dei vini ebbe una crescita notevole, nel giro di pochi anni nacquero e si svilupparono oltre una mezza dozzina di nuove fabbriche che si aggiunsero a quelle già esistenti, molto spesso collocate a poche decine di metri di distanza tra loro. A Domenico le richieste non mancavano, fu così che divenne necessario estendere la bottega in altri due capannoni adiacenti con l’annesso cortile, ampliando di ulteriori cinquecento metri quadrati l’area complessiva a disposizione dell’impresa artigianale. Ciò produsse anche nuovi posti di lavoro per falegnami e manovali brindisini, i cosiddetti “vuttari”, le venti unità lavorative iniziali presto raddoppiarono, in questo modo si riuscì a garantire una produzione di almeno cinquanta contenitori al giorno di varie capacità e forme, tra botti, tini, mastelli ed altri tipi di recipienti realizzati con legno di castagno e di rovere. Entrò presto a collaborare attivamente alla conduzione della ditta anche il figlio Francesco, classe 1904, insieme riuscirono ad estendere oltre i confini locali i loro recipienti in legno, da 100 a 700 litri di capacità, utilizzati per contenere vari prodotti alimentari (filtrati, liquori, sardine, olive, ecc.) divenendo fornitori persino della Stock di Trieste. Ma non solo, i loro beni via nave venivano esportati soprattutto all’estero: Grecia, Argentina, Canada, Australia, Cipro, Palestina e Libano le principali mete.

Francesco De Benedetto,

Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale obbligò la famiglia a trasferirsi a Latiano, dove fu aperta una succursale rimasta operativa per circa dieci anni. Si continuò a tenere attivo il grande laboratorio brindisino con una squadra di artigiani siciliani, ma sino al dicembre del 1942, quando la fabbrica venne colpita e pesantemente danneggiata da un bombardamento aereo della Raf. Dopo il conflitto Domenico e Francesco ripararono gli ingenti danni e ripresero la produzione, che andò avanti sino agli anni Cinquanta, poi furono “costretti” a trasferirsi in un nuovo capannone realizzato sull’attuale circonvallazione, nei pressi del ponte sul canale Cillarese. “Quasi ogni giorno le guardie municipali venivano a sollecitare la chiusura della fabbrica, il rumore generato con il nostro lavoro creava non pochi problemi e proteste, soprattutto dopo l’apertura del vicino ospedale Di Summa” ricorda Domenico Teodoro, per tutti Doretto, il figlio maggiore di Francesco che, affiancato dal fratello Roberto, decise in seguito di raccogliere l’eredità artigiana di famiglia. “Quando nonno Domenico avviò l’attività in quella zona non c’era nulla, solo campagna e qualche stabilimento – racconta Roberto – noi eravamo proprio nei pressi del monticello dell’Osanna, dove successivamente venne realizzata la pesa pubblica. Con lo sviluppo del quartiere, divenuto in pochi anni fittamente popolato, si decise di lasciare i Cappuccini, e trovare una nuova sistemazione”.
Nei primi anni Sessanta la richiesta di botti in legno era notevolmente calata, l’arrivo sul mercato della plastica e l’utilizzo diffuso dell’acciaio inossidabile causò un preoccupante crollo delle ordinazioni. La piccola industria era entrata in crisi, si doveva trovare una alternativa. Fu una felice intuizione di Doretto a dare la decisiva svolta all’attività. “Un giorno ero al distributore di carburanti Gulf, proprio a ridosso del nostro stabilimento – ricorda come se fosse oggi Doretto De Benedetto – si fermò un camion carico di materiali in legno per chiedere indicazioni su come raggiungere il Petrolchimico, dove scaricare la merce. Incuriosito chiesi informazioni su quei prodotti e sul loro utilizzo, era la prima volta che sentii il termine ‘pallet’. Decisi così di seguire l’automezzo e approfittai anche per avere notizie su come diventare fornitore di questi materiali. Ovviamente non fu semplice, ma dopo una lunga serie di pratiche burocratiche ci siamo riusciti, da allora la nostra produzione è cambiata”. Inizialmente si realizzavano sia botti che pedane, poi pian piano tutto si incentrò esclusivamente, e con successo, sui pallet e gli imballaggi industriali, che venivano inviati nel nord Italia, in Svizzera e in diverse nazioni del Medio Oriente.

Alla fine degli anni ’70 i fratelli Doretto e Roberto De Benedetto decisero coraggiosamente di realizzare un nuovo capannone di proprietà nella zona industriale, dove trasferirono interamente la produzione specializzata. Furono allestite nuove e moderne macchine per il taglio e la lavorazione del legname, che giungeva dalla Calabria, Austria, Jugoslavia, Francia e Canada. I tronchi venivano scaricati dai vagoni merci direttamente su viale Fermi, poi da lì si trasportavano nei ricoveri del capannone. La segheria, ormai inattiva dalla fine degli anni ’80, ossia da quando cominciarono a trattare i semilavorati, venne venduta qualche anno dopo alla nota azienda del comparto avicolo Amadori.
L’amore e la passione per il legno hanno guidano anche Paolo, figlio di Doretto, alla conduzione della società, ampliando quel successo già consolidato su tutto il territorio nazionale ed internazionale. Attraverso un’importante crescita tecnologica, l’azienda Legnobotti continua efficacemente a distinguersi nel mercato del packaging con la produzione di pallet standard e su misura, casse, gabbie, selle, sagome, imballi speciali e coperture termoretraibili. La professionalità e la serietà dei venticinque dipendenti sono riconosciute e certificate, così come i loro processi innovativi, alcuni interamente robotizzati, si differenziano per precisione e qualità. L’ambiente di lavoro è confortevole ed accogliente, si percepisce da subito la speciale atmosfera fatta di armonia e serenità, frutto di un benessere organizzativo ormai consolidato.

Ogni mattina Doretto, ma spesso anche il fratello Roberto, trascorrono qualche ora in sede a dispensare consigli pratici per fare ancora meglio. La loro simpatica e cordiale presenza è attesa e gradita da tutti, entrambi rappresentano un solido e valido esempio di imprenditori illuminati che hanno investito, creato lavoro e prodotto ricchezza per il nostro territorio. Nell’azienda hanno esercitato generazioni di falegnami, di padre in figlio si sono trasmessi la tradizione artigiana e l’arte antica del lavorare il legno con abilità, tecnica e disciplina, collaboratori che hanno condiviso e favorito il raggiungimento degli obiettivi aziendali.


Paolo De Benedetto porta avanti con garbo e stile questa lunga storia, con una lucida visione delle dinamiche produttive, sempre al passo con i tempi. Nel suo ufficio spicca incorniciato il diploma con medaglia d’oro conferita della Camera di Commercio di Brindisi al bisnonno Domenico, un riconoscimento per la “fedeltà al lavoro e progresso economico”, uno dei vari attestati di benemerenza ricevuti dalla famiglia. Ciò a dimostrazione di come si porta avanti un mestiere proiettato al domani, senza mai dimenticare il passato.

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