I corpi stesi sulla spiaggia, coperti da un telo bianco, sono l’immagine traumatica di un naufragio di fronte al quale tutti coloro che abbiano ancora un barlume di coscienza e un senso minimo di umanità si sentono coinvolti […]

(DI DONATELLA DI CESARE – Il Fatto Quotidiano) – I corpi stesi sulla spiaggia, coperti da un telo bianco, sono l’immagine traumatica di un naufragio di fronte al quale tutti coloro che abbiano ancora un barlume di coscienza e un senso minimo di umanità si sentono coinvolti, interpellati, e alla fin fine responsabili. Tutti, fuorché ministri e leader politici di questo governo che, sin dai primi istanti, per scaricarsi di ogni colpa hanno fatto ricorso ai consueti mezzi retorici – solo questa volta in modo iperbolicamente più beffardo e più intimidatorio. “Eccolo, il trafficante! Lo abbiamo scovato”. Perché sono i trafficanti gli unici veri colpevoli. E guai a chi osi farsi domande, chiedersi come mai, dato che l’imbarcazione era stata avvistata da Frontex molte ore prima, non siano partiti in tempo i soccorsi. “Non speculate!”.
Questa strategia difensiva e autoassolutoria, che ha contribuito finora a dare un’immagine del tutto falsata e fuorviante della migrazione, tocca così, con questo governo, apici mai raggiunti prima. Tra cinismo e spietatezza, tracotanza e crudeltà, la politica seguita sin dalle prime battute è quella di respingere già in mare tutti i migranti che si avvicinino alle sacre sponde della “nazione” italiana, il cui suolo deve restare integro, la cui etnia deve restare incontaminata. Come dimenticare il “blocco navale” sbandierato da Meloni in campagna elettorale? E il decreto vigliacco contro le Ong, non solo costrette a un unico salvataggio, ma anche obbligate a percorrere miglia e miglia, fino al porto più lontano, solo per rappresaglia? Queste misure sono talmente assurde, da far perdere il filo che le lega e che rischia di sfuggire se ci si concentra solo su un singolo fenomeno.
Nessun governo precedente di questa Repubblica ha mai dato un messaggio così duro e inesorabile: la vita degli altri conta poco o nulla. Si può calpestare, abbandonare, far morire. Vale per la migrazione e vale per la guerra. Ecco che cosa c’è in comune tra i corpi che sul nostro schermo intravediamo, quelli dello scenario bellico e quelli delle stragi in mare. Questo governo postfascista tocca l’apice della necropolitica. Si deve intendere con ciò quella politica che esercita la propria sovranità non solo scegliendo tra chi può vivere e chi deve morire, ma anche – e qui sta l’escalation – pretendendo che le vite non vengano salvate e richiedendo la morte come soluzione necessaria dei conflitti. Il richiamo al sacrificio ha ispirato gli ultimi discorsi della premier. La guerra si decide “sul campo” fino alla “vittoria”; per questo mandiamo più armi. Perché una politica non degna di questo nome, che si è ritratta dalla vita e dalla protezione della vita, anziché negoziare, chiede famelicamente, da un lato e dall’altro, più corpi da gettare tra le lamiere.
Questa stessa necropolitica non solo lascia morire in mare, ma punisce chi vorrebbe salvare. Che i mezzi di soccorso restino nei porti! Tanto al largo, tra le onde, ci sono le vite dei neri, degli straccioni, dei “falsi rifugiati”, che vogliono venire qui e approfittare del nostro benessere. Che importano le guerre, che hanno alle spalle, i terremoti, le persecuzioni, le miserie? La necropolitica ha lo sguardo corto e meschino. È strutturalmente ipocrita. Così ci si può tagliare in tivvù una ciocca in solidarietà con le donne iraniane (tanto non si mette a repentaglio la propria esistenza e si fa un figurone) e contemporaneamente lasciarle morire se sono su un barcone.
Non che prima non si seguisse già questa direzione. Lo dimostrano anni e anni di fallimentare “governo dei flussi migratori”, dove l’Europa ha brillato per miopia e atrocità. E l’Italia, lungi dall’essere un’eccezione, si è fatta valere con le sue leggi poliziesche e i suoi patti ferma-migranti. Ma oggi c’è qualcosa di più: quell’ombra di morte che tradizionalmente ha caratterizzato il fascismo, con il suo culto della guerra (ne parlava Walter Benjamin), si aggiunge – che i meloniani lo vogliano o no – alla necropolitica già in vigore, rendendola ancora più sfrontata e impietosa. L’idea che si afferma è che ci siano vite da proteggere, quelle dei cittadini sovrani di serie a, provvisti già dei propri sostegni, e vite che possono essere esposte a ogni rischio, abbandonate a ogni rovina, lasciate morire. Non semplicemente essere deboli con i forti e forti con i deboli (una spiegazione troppo grossolana); bensì un criterio ben più profondo e inquietante. La politica che si è ritratta dall’esistenza delle persone non solo decide tra chi vive e chi muore, ma pretende che il “sacrificio” dei superflui, di cui si scarica ogni responsabilità, venga accettato senza batter ciglio. Questo significa anche la giusta definizione di “guerra per procura” che viene combattuta con corpi altrui.
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