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Foto di Giuseppe Lami, via Ansa 

Il punto

Per rafforzare la resilienza del sistema sanitario è necessario un investimento annuo che aggiunga circa 25 miliardi a quello attuale, e che riguardi soprattutto il personale. Un bisogno che “non è mai stato così urgente”

“La pandemia di Covid è stata una tragedia”. A metterlo nero su bianco è stato l’Ocse nel suo ultimo dossier “Ready for the next crisis? Investing in health system resilience”, ricordando gli oltre 6,8 milioni di decessi in tutto il mondo e l’aspettativa di vita diminuita in molti paesi nel biennio 2020-2021. A risentirne è stata anche l’economia con un pil diminuito del 4,7 per cento nel 2020 nelle economie Ocse. Una tragedia che ci ha colti impreparati e che dovrebbe servire da lezione per affrontare nuove crisi che “potrebbero mettere a dura prova la comunità globale”.

Tra queste, l’antibiotico-resistenza, i conflitti armati, i cambiamenti le climatici, la crisi finanziaria, le minacce biologiche, chimiche, informatiche e nucleari, i disastri ambientali e i disordini sociali. Senza contare come anche l’invecchiamento e il cambiamento demografico stiano già mettendo a dura prova i sistemi sanitari aggravando l’impatto delle crisi. Costruire la resilienza dei nostri sistemi sanitari “non è mai stato così urgente”. La resilienza, spiega l’Ocse, “aiuta ad assorbire gli shock e accelera la ripresa”.

Farlo ora è fondamentale per affrontare le minacce di domani. Per farsi trovare pronti, la ricetta proposta nel dossier prevede un investimento in tre settori chiave: personale sanitario; prevenzione primaria e secondaria, vaccinazioni comprese; e dotazioni strutturali e tecnologiche e sistemi di raccolta dati e monitoraggio. In particolare, secondo l’Ocse, per rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari sarebbe necessario un investimento annuo mirato di almeno l’1,4 per cento del pil. E l’investimento principale, circa la metà, dovrebbe riguardare il personale sanitario.

Con questo surplus di investimenti la media di incidenza delle spese sanitarie sul pil dei paesi Ocse raggiungerebbe il 10,1 per cento, rispetto alla media di riferimento dell’8,8 per cento nel 2019. Una cifra che per l’Italia si tradurrebbe in un investimento aggiuntivo pari a circa 25 miliardi. Una spesa che potrebbe configurarsi a tutti gli effetti come un investimento dal momento che, come si spiega nel dossier, nel medio periodo è molto probabile che il ritorno in termini di vantaggi economici di questi investimenti mirati nel sistema sanitario superino notevolmente i costi. Solo con questa forte iniezione finanziaria si potrà evitare che i sistemi sanitari vengano “sopraffatti” dalla crescita di domanda di salute e dalle ricadute delle diverse crisi che ci attendono.

Un indirizzo, questo, in totale controtendenza sia rispetto a quanto previsto dalla prima manovra del governo Meloni, dove si prevede un rapporto fra spesa sanitaria e pil su livelli inferiori a quelli precedenti alla pandemia già dal 2024 (al 6,3 per cento), per ridursi ancora di un decimo di punto nell’anno 2025; sia rispetto a quanto dichiarato dallo stesso presidente del Consiglio durante la conferenza stampa di fine anno.

Allora Meloni spiegò come “i parametri degli anni precedenti erano di una realtà estremamente emergenziale. Non so quanto si possa ritenere che quello fatto durante il Covid sia il parametro anche per il futuro”. Parole che oggi vengono smentite non solo dall’Ocse ma dalla stessa realtà. Come poter affrontare la carenza di personale, la fuga di professionisti dal Servizio sanitario nazionale a causa dei bassi stipendi e delle pessime condizioni di lavoro, la riforma della medicina territoriale e il superamento delle liste d’attesa senza continuare ad investire con decisione nel settore al fine di ridurre quel gap mai risolto tra le risorse dedicate nel nostro paese al sistema sanitario e quelle dei principali partner europei?

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