La tragedia e le polemiche
Iuri Maria Prado — 1 Marzo 2023
Ieri un telegiornale nazionale ha aperto sul bilancio “in progress” della strage di migranti dell’altro giorno: persone che, spiegava la conduttrice, salendo su quel barcone hanno deciso «di mettere a repentaglio la propria vita come quella dei propri figli». Si tratta, come sappiamo, della posizione che ha ritenuto di assumere il governo, una giudiziosa combinazione dei protocolli da compagnia di assicurazioni con i più moderni insegnamenti della scienza metereologica e con le più avanzate acquisizioni in campo di responsabilità genitoriale, il tutto riassunto in questo schema:
1) quando scappi dalla fame, dalla guerra e dall’oppressione, tieni conto del disclaimer ministeriale per essere sicuro se, come e quando hai diritto di essere salvato; 2) in ogni caso, altrimenti scatta la clausola di esonero, guarda il bollettino del mare; 3) soprattutto, sii “etico”, cioè non contravvenire all’obbligo di educare i tuoi figli secondo il principio dello Stato cui pretendi di accostarti, vale a dire “prima gli italiani”, e ricorda che soltanto poi e soltanto forse, meteo permettendo e condizioni contrattuali ammettendo, vengono i tuoi figli, che giusto per combinazione non sono battezzati e non hanno la pelle bianca.
Visto che almeno un paio di ministri, quello dell’Interno, il Commendator Carico Residuo, e quell’altro, Capitan Ruspa, minacciano querele nei confronti di chi osa affermare che sarebbe stato possibile salvare quei migranti, vediamo di intenderci. È verosimilmente improprio, o comunque è discutibile, reclamare le dimissioni di un ministro che dice uno sproposito, e probabilmente non dovrebbe dimettersi neppure se pretende di presidiare le enormità cui si abbandona con l’annuncio dell’azione legale contro chi lo critica.
Ma dire, come ha fatto questo giornale, che quella che si è consumata davanti alla Calabria è una strage di Stato costituisce l’esercizio di un diritto pieno: un diritto che nessuno, tanto meno un esponente del governo, può anche solo sognarsi di contestare, figurarsi tentare di conculcare a suon di querele. E siccome l’andazzo è questo, vediamola anche meglio. Non solo è una strage di Stato, dicitura che rimanda solitamente a una neutra prepotenza o negligenza omicida che viene dai lombi del potere pubblico: è pure di stampo etnico-razziale, perché questa gente è lasciata morire in mare non perché sta in mare, ma perché è fatta di migranti, gente di pelle e di religione diverse, e che in forza di questa diversità vede dimidiato, anzi annullato, il diritto di essere salvata.
E a mettere in forse, anzi a revocare, il dovere di salvare quella gente non è l’impossibilità di salvarla perché c’è il maltempo, non è l’avventatezza del clandestino insubordinato all’etica parentale del profugo comme il faut, non è il viaggio in violazione degli standard di sicurezza che il ministero-broker pretende dal contraente-migrante: a far accantonare il dovere di salvarli è che sono poveri e neri. Su quella strage, come sulle tante pregresse, non c’è dunque il semplice sigillo di una politica dello Stato: c’è il marchio di una politica razzista.
© Riproduzione riservata