La lotta contro la paga sotto la soglia di povertà
Elena Del Mastro — 6 Aprile 2023
La sua paga effettiva oraria era di 3,96 all’ora, lavorando per 12 mesi all’anno per una società di vigilanza, nonostante l’applicazione del contratto nazionale di settore. Secondo un giudice del lavoro di Milano una paga che la poneva sotto la soglia di povertà, dunque anticostituzionale. Così ha dato ragione a una lavoratrice perché, si legge nella sentenza, è stato violato l’articolo 36, secondo il quale “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
A ricostruire la vicenda è l’Ansa. La lavoratrice, impiegata nel servizio di portierato in un magazzino della grande distribuzione, percepiva uno stipendio netto intorno ai 640 euro, meno del reddito di cittadinanza. Secondo l’Istat la soglia di povertà è stimata a 840 euro. Sul tavolo del giudice ci sarebbero anche altre sentenze simili. Con la sentenza l’azienda è stata condannata a pagare un risarcimento per ogni mese di lavoro effettuato, ovvero il differenziale tra la paga versata e quella prevista per un servizio di portierato.
“La mia cliente doveva insomma lavorare circa 70 ore alla settimana per ottenere uno stipendio che si aggirasse intorno ai mille euro – ha detto l’avvocato Giacomo Gianolla a Repubblica – Una situazione assurda, com’è assurdo che un suo collega single, non potendo contare su nessun supporto per il pagamento dell’affitto, sia costretto da almeno due anni a vivere con il frigorifero spento perché altrimenti non riuscirebbe a far fronte al pagamento delle bollette. Mio nonno negli anni Settanta scaricava le merci dalle navi al porto di Venezia e poteva permettersi di tenere il frigo acceso. Sono passati 50 anni e siamo tornati drammaticamente indietro“.
Nella sentenza si legge infatti che “non si può certo ritenere sufficiente e proporzionata una retribuzione laddove sia inserita all’interno di una contrattazione collettiva che pure remuneri in maniera significativa il lavoro straordinario, di fatto imponendo a ogni lavoratore di lavorare tutte le ore di straordinario possibili, così anche rischiando di pregiudicare la propria salute, per potersi allineare a valori economici di stipendio dignitosi”.
Il legale ha spiegato che il tribunale si è pronunciato sulla nullità del contratto collettivo applicato in quell’azienda, che non è rinnovato da oltre dieci anni e prevedeva una retribuzione davvero ridicola per un lavoro a tempo pieno. “Un lavoratore è così obbligato, per arrivare a 1200/1300 euro mensili, a fare fino a mille ore di straordinario all’anno – ha detto ancora l’avvocato – Il che vuol dire, tolte le ferie, più di 100 ore al mese. Quindi circa 270 ore al mese. Vuol dire lavorare anche 12 ore al giorno”. Una sentenza definita “storica” da Adl Cobas che ha sostenuto la battaglia della lavoratrice: “Apre la strada anche ad altri lavoratori nella stessa situazione in Italia, circa 100mila”.
Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
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