I vizi del boss e la rete di fiancheggiatori
Redazione — 16 Gennaio 2023
Al polso un orologio di lusso (un Richard Mille da 35mila euro) oltre a capi d’abbigliamento firmati e alla solita retorica sulla vita agiata dell’ultimo boss stragista di Cosa Nostra. Alcuni dettagli sulla conferenza stampa di Palermo dopo l’arresto, dopo ben 30 anni di latitanza, di Matteo Messina Denaro lasciano davvero il tempo che trovano. E’ piuttosto scontato infatti che un mafioso, che per tre decenni è riuscito a sfuggire alla cattura, vivesse in condizioni economiche piuttosto agiate.
La latitanza costa, così come raccontato da decine di collaboratori di giustizia e confermato dagli stessi inquirenti. Così come costa anche garantirsi la dedizione e soprattutto la discrezione di una fitta rete di fiancheggiatori. Persone che hanno consentito al 60enne boss di Castelvetrano (Trapani) di potersi muovere nello stesso territorio dove è nato e cresciuto.
Stesso discorso vale per l’operazione chirurgica e le chemioterapie avviate presso la clinica privata La Maddalena dove era in cura da oltre un anno per un tumore al colon con metastasi al fegato. Una struttura, col dipartimento Oncologico di terzo livello e convenzionata col servizio sanitario nazionale, che rappresenta un fiore all’occhiello della sanità siciliana.
Davanti a spese del genere, sembra quasi ininfluente il costo dell’orologio di lusso che aveva al polso così come i capi d’abbigliamento di pregio che amava indossare. “Abbiamo elementi per ritenere che Messina Denaro vivesse in una condizione agiata, tutti sanno a Palermo che la clinica in cui si recava è una assoluta eccellenza e vestiva con abiti di pregio” ha spiegato il magistrato Paolo Guido in conferenza stampa. Pazienti e personale della clinica lo descrivono come un uomo elegante, che in reparto aveva la giacca da camera, metteva soprabiti in pelle con camicie stile hawaiano.
Adesso fondamentale sarà trovare il covo, l’abitazione dove ha vissuto negli ultimi tempi Messina Denaro. I magistrati e le forze dell’ordine starebbero per individuarlo anche se difficilmente troveranno all’interno informazioni utili ai fini investigativi: probabile infatti che chi curava la latitanza del boss abbia già fatto sparire tutto dopo la notizia dell’arresto.
Il riferimento di procura e forze dell’ordine è il piccolo come di Campobello di Mazara dove vive Giovanni Luppino, l’imprenditore incensurato del settore olivicolo che ha accompagnato il boss alla clinica per il day hospital, e dove risiede Andrea Bonafede l’uomo che ha prestato, ancora da capire se consapevolmente meno, l’identità al capomafia.
Dopo il caso Riina e la mancata perquisizione del covo, da ore la zona tra Campobello e Castelvetrano, paese di Messina Denaro, è battuta palmo a palmo. Così come resta da ricostruire la fitta rete di fiancheggiatori che hanno aiutato il boss in tutti questi anni di latitanza (già in passato sono finiti in cella centinaia di fedelissimi del padrino tra i quali sorelle, cognati e fratelli) e il patrimonio accumulato che, secondo gli inquirenti, ammonterebbe a solo 13 milioni di euro.
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