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Biden, Trump, le carte segrete in casa e la procedura di impeachment: il nuovo scandalo americano – Il Riformista

Arriva un nuovo scandalo americano

Paolo Guzzanti — 14 Gennaio 2023

Biden, Trump, le carte segrete in casa e la procedura di impeachment: il nuovo scandalo americano

L’America è un paese fatto così: un giorno i servizi segreti si presentano a casa dell’ex presidente Trump, la mettono a soqquadro, si portano via due camion di carte segrete indebitamente inguattato dallo stesso Trump quando era l’inquilino della Casa Bianca. E ne nasce un grande scandalo su come vada considerato un ex Presidente che si porta nella villa di campagna (e mare) i segreti di Stato, e tutta l’opinione pubblica che ritiene quel Presidente un mancato (ma ancora pericoloso) golpista, freme di sdegno e chiede punizioni esemplari. Il fatto poi che in una clinica della Florida sia ricoverato l’ex presidente del Brasile Bolsonaro, ritenuto responsabile dell’assalto dei suoi fan al Parlamento di Brasilia, funziona come un moltiplicatore emotivo per chi ha visto nei fatti del 6 gennaio 2021 un attacco al Parlamento americano. Trump e Bolsonaro, due pessimi esempi di uomini di destra eversiva che attentarono alle istituzioni del proprio Paese.

Poi, però, accade che gli stessi servizi segreti americani si presentano nella casa di montagna dell’attuale Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in Wilmington, Delaware, la invadono, si fanno aprire gli accessi ai garage, aprono ogni pertugio e trovano strani libri le cui pagine sono curiosamente alternate a pagine di documenti segreti rilegati insieme a libro originale. Le ricerche portano alla luce altri contenitori di verbali di visite di capi di Stato stranieri descritti da diplomatici americani che possono essere letti soltanto seguendo un severa procedura, rubacchiati qua e là e ricoverati negli anfratti della villetta di campagna presidenziale. Lo scandalo esplode, ma a polveri bagnate. Giornali e televisioni registrano il fatto più con malumore che indignazione: Biden si trova in posizione scomoda e deprecabile come quella in cui si trovava già il suo acerrimo nemico, Donald Trump. Come si dice da noi, uno a uno e palla centro. Di conseguenza, l’America spaccata e divisa si scatena nella ricerca spasmodica delle differenze e delle colpe, per leccare ciascuna le proprie ferite cercando di infettare quelle della parte opposta.

Un fatto è certo: documenti segreti di cui è vietata l’uscita dagli uffici cui appartengono sono stati trovati non soltanto nella casa di campagna del Presidente in carica, ma anche nell’ufficio di Washington dove ha sede una sua fondazione, un ufficio che Joe frequentava quando era vicepresidente di Obama. Di qui la voce, se non il sospetto, che Biden possa aver nascosto documenti passati per le mani di Obama che ha seccamente smentito. Ma Joe Biden, a differenza di Trump e Obama, è un presidente in carica e questa è una circostanza ovviamente tanto delicata quanto aperta a sviluppi che possono portare a un impeachment. È nato così un doppio scandalo nella crisi della democrazia americana, segnata dalla carica di odio fra i democratici e i repubblicani fedeli a Trump. Così, quando fu Trump ad essere beccato in flagrante possesso di carte segrete, la stampa “liberal” si scatenò descrivendo il suo crimine come una conferma di una vocazione di Trump al colpo di Stato. Ma quando altri documenti segretati sono stati trovati nell’ufficio che Joseph R. Biden Jr. ha usato prima della sua campagna elettorale del 2020 a Wilmington, Delaware, i repubblicani trumpisti ne hanno ovviamente gioito.

A guidare le inchieste sia contro l’ex Presidente Donald Trump, che l’attuale Presidente in carica Biden, tutto è il Dipartimento della Giustizia che ha nominato i suoi “special consoles” e lo stesso ministro della Giustizia Merrick Garland ha nominato un procuratore speciale, Jack Smith, nel mese di novembre. Giovedì, lo stesso Garland ha nominato Robert Keeler Hur come procuratore speciale nel caso di Biden. Anche i documenti scoperti adesso nel garage della casa del Delaware sono stati descritti come poco importanti, rispetto alla classifica di Top Secret, trattandosi per lo più di verbali di conversazioni con politici stranieri ormai fuori dal gioco politico, ormai impolverati dal tempo trattandosi di carte relative al tempo in cui Biden era vicepresidente, fino al 2017, e prima che cominciasse la sua campagna presidenziale.

Questo episodio precede quello dell’ultima ora nella casa del Delaware dove i nuovi documenti sono stati trovati in un garage. Nel caso di Trump, e stato accertato che lui prendeva di tanto in tanto delle carte nel suo ufficio ovale della Casa Bianca per portarsele a casa senza più restituirle. un patrimonio di conoscenze buone per tutti gli usi pubblici e privati. Sul motivo reale della appropriazione indebita di carte segrete si può soltanto supporre che tutti e tre i Presidenti – Obama, Trump e Biden– abbiano pensato di mettere o far mettere da parte accuratamente nascosti dei documenti nelle carte che avrebbero potuto consultare soltanto finché erano in carica e di poterle usare come strumenti politici. Il ministero della giustizia in entrambi i casi ha svolto inchieste silenziosissime sulla Casa Bianca, i suoi abitanti i suoi impiegati e i suoi segreti e quando ha ritenuto di intervenire per la sicurezza dello Stato lo ha fatto in maniera legittima ma anche rapida e senza alcun riguardo formale per il rango degli oggetto degli investigati.

E allora vale la pena ricordare i tempi in cui il presidente Bill Clinton fu abbordato da un procuratore che aveva il compito di scoprire tutte le sue magagne e metterlo nei guai dopo che lui aveva mentito davanti alla nazione quando affermò di non aver mai avuto una relazione sessuale che invece aveva avuto. Tutto ciò ha a che fare con una tradizione radicatissima nel mondo anglosassone, ma specialmente in quello americano in cui i comportamenti presidenziali sono codificati come tutti gli altri e possono essere sottoposti ad inchiesta senza o contro il loro consenso. Ormai si perde nella notte della memoria l’investigazione sul palazzo Watergate imbottito di cimici dal partito repubblicano del presidente Nixon e che si concluse con le dimissioni dello stesso presidente.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.

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