di Alessandro Caiulo per il7 Magazine
Mi è capitata casualmente fra le mani una sorta di cartina geografica dal nome curioso ed accattivante di “Mappa di Comunità di San Vito dei Normanni”, dove, a mo di vignetta, sono riportati quelli che definirei i luoghi del cuore dei sanvitesi e non solo loro, che vanno ben oltre i confini di quel comune ma abbracciano buona parte di territorio anche di comuni limitrofi includendo altri luoghi simbolo.
Vediamo Carovigno con il Borgo di Serranova assieme al suo castello, Torre Guaceto e Specchiolla, Brindisi con Torre Regina Giovanna, luogo cult di generazioni di giovani fino a quando il Comune di Brindisi non ne decretò la chiusura, la cripta di San Biagio che, seppure ricadente in agro di Brindisi è gestita dal Comune di San Vito dei Normanni, come anche la cripta di san Giovanni, anch’essa nei pressi del Canale Reale, il fiume che sorgendo a Villa Castelli, sfocia nei pressi di Apani; Latiano è rappresentata dalla Chiesetta e dal Casale di San Donato, per secoli luogo di devozione e meta di pellegrinaggi delle popolazioni di Latiano, San Vito e San Michele e da qualche decennio a questa parte in degrado e malora per incuria – scusate il gioco di parole – della Curia di Oria. La parte del leone in questa mappa, ovviamente, la fa la stessa San Vito dei Normanni non solo con il rinomato Castello Dentice di Frasso, in cui tuttora risiedono gli omonimi principi, e le sue belle chiese, le caratteristiche stratodde, cioè i vicoletti di quello che era l’antico casale sorto attorno al castello, ma anche con la pizzica ballata in piazza, la popolana che spia da dietro la “rezza”, i piatti tipici come gli stacchioddi (orecchiette) e le fave ncapriate (pureè di fave con verdure locali), m,a anche capasoni e zirri (tipici contenitori di terracotta), le casodde, l’equivalente dei trulli in quanto costruiti con sole pietre, sparsi nelle campagne ben coltivate, le masserie, la villa che vide i natali di Lanza del Vasto e, con molta rilevanza, il “Museo Diffuso Castello di Alceste”, con la specificazione nella didascalia che si tratta di un insediamento arcaico sulla Collina di Alceste.
Dal momento che sono notoriamente curioso come una scimmia e questo posto, probabilmente solo questo fra tutti quelli contenuti nella “Mappa di Comunità”, non lo conoscevo, la prima domenica utile mi sono attrezzato per andarmi fare una passeggiata da quelle parti.
Essendo la mappa solo indicativa, non in scala e priva di riferimenti stradali, mi sono affidato a Google Map che mi ha completamente fuorviato, facendomi camminare a lungo in campagna fino a giungere, dopo un paio di ore ed una mezza dozzina di chilometri macinati a piedi, alle cave e discariche di Autigno, cioè in agro di Brindisi, in mezzo al nulla, che anche per il navigatore satellitare del mio smartphone era il Castello di Alceste.
Buon per me che ho chiesto soccorso telefonico all’amico e collega avvocato Antonio Santoro, che è anche vice sindaco con delega alla Cultura del Comune di San Vito dei Normanni il quale, dopo avermi giustamente canzonato per essermi perso in campagna, mi ha spiegato come arrivare sul sito che è proprio attaccato alla città, in direzione della strada che porta a Mesagne, praticamente poche centinaia di metri da dove avevo lasciato l’auto, ma nella direzione opposta rispetto a quella in cui mi ero mosso.
Giunto sul posto non posso che apprezzare la pulizia e l’ordine che vi regna pur essendo un sito molto ampio e dispersivo, all’aperto e senza una reale possibilità di guardiania. Proprio al suo ingresso vi è una bella ricostruzione, in grandezza naturale, di una abitazione messapica, la riproduzione di un’antica fornace; mi incammino per un vialetto che sale sulla collinetta che domina sul paese dove vi è una costruzione risalente a poco più di un secolo fa, adibita a masseria didattica; attorno ad essa vi sono i resti di antiche mura e la zona archeologica vera e propria, meglio visibile utilizzando le apposite passerelle. Davvero notevole, poi, un “percorso natura” dove chi ha voglia e capacità di fare ginnastica all’aria aperta si può veramente sbizzarrire come meglio crede approfittando anche dei tanti ettari a disposizione per correre o camminare, come più gli aggrada.
Dal tetto della torre/masseria il paesaggio di cui si gode è splendido: da un lato, in un unico sguardo, si vede tutto il paese, dagli altri lati ci si perde verso l’infinito delle campagne in direzione di Carovigno, Ceglie Messapica, San Michele Salentino, Latiano e Mesagne.
Su ottimo suggerimento dell’avv. Santoro ho preso contatti con chi meglio di chiunque altro al mondo conosce questo luogo per aver contribuito a scoprirlo, salvaguardarlo e valorizzarlo, la prof.ssa Grazia Semeraro, dell’Università del Salento che è la responsabile scientifica del Museo Diffuso Castello di Alceste.
Innanzi tutto vi sono, a Suo avviso, ragioni storiche documentate per cui questo luogo è stato così denominato, dal momento che di un reale castello non pare esservi alcuna traccia ed anche il nome di Alceste, al netto del richiamo all’eroina di Euripide, non sembra aver molto a che spartire con la storia del nostro territorio?
“Il toponimo ‘Castello di Alceste’ trae origine da memorie molto antiche, a noi tramandate dall’autore di un manoscritto della fine 700 dal titolo ‘Dell’origine e successi della Terra di S. Vito in provincia di Otranto, realizzato con tutta probabilità da mons. Annibale De Leo, il celebre e colto studioso di origine sanvitese fondatore della Biblioteca arcivescovile di Brindisi (secondo alcuni l’autore di questo prezioso manoscritto fu invece suo zio Ortensio de Leo). Nel manoscritto si fa riferimento all’amena collinetta sulla cima della quale vi è un gran ricinto di pietra ammassata in forma circolare chiamato volgarmente il castello degli ulivi, dagli oliveti ivi cresciuti, ma che anticamente si fosse denominato il castello di Alceste, così per detto del sacerdote d. Giovanni dello Principe morto nel 1687 asseriva Antonio Carrone erudito gentiluomo e curioso investigatore delle cose antiche di detta terra’.
Da questa notizia deduciamo che nel Sei-Settecento sulla collina era ben visibile il recinto di pietre che, grazie ai nostri scavi, abbiamo potuto attribuire all’insediamento messapico di VIII sec.a.C. . Alla presenza di questo recinto fu associato il toponimo di ‘Castello’ come spesso avviene (sono numerosissime le località denominate ‘Castello’, ‘Castelluccio’ etc. anche in assenza di veri e propri ‘Castelli’ medioevali) e la denominazione ‘degli ulivi’ (come riporta De Leo). Il riferimento ad una figura del mito come quella di Alceste è probabilmente una invenzione ascrivibile agli studiosi umanisti, ai cultori di storia ed antichità, attivi nei circoli colti della cittadina. Il legame con una figura del mito, già elaborato nel Seicento (sempre come riporta De Leo), doveva servire a ‘nobilitare’ le antiche rovine ancora visibili sulla collina agli occhi di questi uomini di cultura, versati nelle lettere e profondamente intrisi di cultura umanistica”
Il Castello di Alceste è associato espressamente all’idea di museo diffuso; a beneficio dei lettori, potrebbe specificare cosa è il Castello di Alceste e cosa si intende oggi per museo diffuso?
Il Castello di Alceste è sede di un sito archeologico molto importante perché è uno dei pochi insediamenti dove sono documentate le fasi più antiche della civiltà messapica. Fu infatti abitato fra VIII e inizi del V sec. a.C. . Gli scavi ci permettono di ricostruire il fenomeno della nascita di una città messapica, dalla prima occupazione della collina, alle fasi di sviluppo e prosperità, per finire con la traumatica conclusione, agli inizi del V sec. a.C. quando le case vengono distrutte da un incendio, forse a causa della guerra con i Greci di Taranto. E’ difficile ricostruire queste vicende così lontane nel tempo, ma noi sappiamo dagli autori antichi che in questo periodo (inizi V sec. a.C.) numerose furono le scorrerie tarentine in territorio messapico e che un lungo conflitto oppose i fieri condottieri dei Messapi e i Tarantini che intendevano espandersi oltre i confini del loro territorio. Probabilmente una di queste scorrerie segnò la fine dell’insediamento del Castello di Alceste (di cui non conosciamo il nome antico). In tutti i casi è proprio in questo periodo che la collina viene abbandonata e non più rioccupata per 2500 anni. Gli scavi archeologici ci hanno detto molto sull’organizzazione sociale, sulla vita quotidiana, sull’economia, sull’edilizia. Nella documentazione archeologica si può vedere il passaggio dalle capanne alle case costruite in pietra, con i tetti di tegole: praticamente si può dire che gli antichi abitanti del Castello avevano ‘inventato’ un tipo di architettura residenziale che è stato poi a lungo utilizzato nei secoli a venire.
‘Museo Diffuso’ è una formula che rimanda all’idea di tutelare e preservare il paesaggio storico. Nell’area del Castello i resti archeologici (ad es. il recinto già segnalato nel Settencento) sono ‘diffusi’ nel paesaggio rurale, di cui sono parte integrante: ad es. le mura antiche (VI sec. a C.) corrono sotto i muretti a secco di delimitazione fondiaria che permettono di ricostruire il tracciato della fortificazione messapica. Pertanto nel Museo Diffuso tutti gli elementi stratificatisi nel paesaggio – dai resti archeologici alle costruzioni rurali più recenti – vanno tutelati nello stesso modo per proteggerli e tramandarli alle generazioni future.
Il concetto di Museo Diffuso, infatti, include e sintetizza tutte le definizioni, le idee, che informano le Convenzioni Europee sul paesaggio e sul patrimonio culturale, ivi compresa la Convenzione di Faro, approvata nel 2005 e recentemente ratificata anche dal nostro Paese, che sancisce il diritto delle società all’eredità culturale, affermando con forza il valore sociale della cultura e del patrimonio culturale. Il paesaggio è il tramite attraverso cui la comunità tramanda la propria memoria, perché il paesaggio è uno scrigno in cui si conserva la storia e la cultura delle genti che hanno abitato un dato territorio. I popoli conservano la propria memoria nel paesaggio.
Attraverso il Museo Diffuso, quindi, si fa educazione non solo alla storia del territorio ma anche al paesaggio, all’ambiente, alla tutela delle risorse naturali. Si cerca di trasmettere il valore fondamentale della storia, della natura e del paesaggio come patrimonio di tutti, che tutti siamo tenuti a rispettare e proteggere”.
Quanto è importante la sinergia fra i diversi enti, in questo caso Comune, Università e Soprintendenza, per una iniziativa del genere?
“La collaborazione fra questi Enti è assolutamente fondamentale, perché ognuno gioca un ruolo importante ai fini del raggiungimento del comune obiettivo di mantenere un bene prezioso, di cui siamo temporanei custodi. Il Museo Diffuso è un esempio virtuoso di questa collaborazione, nonostante le difficoltà che spesso si incontrano nel nostro contesto quando si cerca di promuovere realtà innovative. Ricordiamo che il Museo Diffuso di Castello di Alceste è parte integrante della rete degli Ecomusei della Regione e che il Comune di san Vito è stato il capofila di questa rete!”.
Che sviluppo immagina e come pensa che potrà essere gestito questo sito a breve/medio termine, affinchè possa assumere un ruolo di centralità per la comunità sanvitese e non solo?
“Penso che è irrinunciabile promuovere la gestione del Museo all’interno di un progetto che ne faccia conoscere le potenzialità. E’ importante condividere con la comunità sanvitese e soprattutto con le scuole, al livello non solo locale, l’importanza di questa realtà. Come ho detto, il Museo ha un forte valore educativo, che va promosso con adeguate strategie di coinvolgimento e comunicazione. C’è ora un forte impegno in questa direzione da parte dell’Amministrazione Comunale, che spero si possa concretizzare a breve in un programma di gestione che valorizzi appieno il sito del Castello e le risorse culturali di cui il territorio del Comune di San Vito è ricco. Se la comunità sanvitese imparerà a conoscere ed ad amare il proprio patrimonio sarà in grado di trasmetterne il valore anche ad altri, potrà anche promuoverne la valorizzazione a fini turistici. Il Museo Diffuso è la meta ideale per il turismo ecosostenibile, come quello ciclistico ad esempio, o quello degli itinerari a piedi, molto amati dai turisti nordeuropei, ma sempre più in voga in Italia. Pensiamo a tutte quelle forme di viaggi ed esperienze volti alla conoscenza delle bellezze nascoste nei nostri paesaggi, alla ricerca di piccoli gioielli di cui spesso si ignora l’esistenza, ma che rappresentano la vera attrazione del nostro territorio”.