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Come si è diffuso il Covid tra i tifosi durante Euro 2020

Un nuovo studio su calcio e pandemia: a confronto le nazionali, con parametri divisi per genere. In Inghilterra 11 persone per milione di abitanti sono state infettate. In tutto il campionato si sono registrati 840 mila contagi

Durante gli ultimi 3 anni, l’esito epidemiologico di importanti eventi pubblici in cui si aggregano migliaia di persone è risultato di difficile interpretazione, rinforzando la convinzione che, alla fine, tali eventi non avessero poi davvero influenza sulla diffusione di Sars-cov-2. È stato ora pubblicato un nuovo studio che chiarisce in modo definitivo la questione, dimostrando come tale impatto sia fortemente dipendente dalla situazione epidemiologica di partenza dei paesi interessati da questo tipo di eventi. In particolare, si è studiato l’impatto del campionato europeo di calcio del 2020 sull’incidenza della pandemia, il quale era noto per essere molto diverso tra i paesi partecipanti.

Il nuovo lavoro di ricerca ha coinvolto il Max Planck institute for dynamics and self-organization di Göttingen, il Max Planck institute for physics di Monaco, nonché le università di Bonn e Göttingen e il consorzio Punch4Nfdi nell’infrastruttura dati di ricerca nazionale. Per quello che sappiamo del modo in cui i virus a trasmissione aerea si propagano, durante i tornei internazionali di calcio dovrebbe osservarsi un aumento dei casi di infezione. Questo perché molte persone guardano le partite in gruppo, che sia in un salotto privato, in un pub o in altri luoghi pubblici; ci si attende che in queste occasioni il coronavirus possa diffondersi facilmente.

Infatti, è stato dimostrato che il campionato europeo di calcio 2020, svoltosi nell’estate del 2021, ha portato a numerosi contagi. Tuttavia, l’entità dell’effetto varia notevolmente da paese a paese. I ricercatori hanno studiato i dati di dodici dei paesi partecipanti per valutare come si è sviluppata l’incidenza dell’infezione durante e dopo il campionato europeo in tali paesi. Intelligentemente, essi si sono focalizzati su un’analisi separata per genere, così da distinguere il contributo epidemiologico del Campionato europeo da quello di altri fattori, considerato che più uomini che donne guardano le partite di calcio e si aggregano in queste occasioni.

Questo diverso comportamento di tifo si riflette anche in diversi numeri di infezione fra i due sessi. Sfruttando questo elemento, i ricercatori hanno stimato quanti contagi in eccesso sono stati dovuti a persone che guardavano insieme le partite, accorgendosi che essi dipendevano dalle condizioni preliminari all’inizio del torneo. Questa differenza è ben illustrata confrontando ad esempio Repubblica Ceca e Inghilterra: la Repubblica Ceca ha giocato cinque partite negli ultimi campionati europei di calcio. Tuttavia, nonostante il grande tifo diffuso in quel paese, ci sono stati solo circa 460 contagi in più per milione di abitanti. Invece, il campionato europeo ha avuto in Inghilterra un effetto molto maggiore, con circa 11.000 persone per milione di abitanti che sono state infettate dal coronavirus. Ciò non è spiegabile con il maggior numero di partite, dato che la squadra inglese ha giocato sette partite fino alla finale, ma piuttosto dipende dalla situazione epidemiologica di partenza completamente diversa: nella Repubblica Ceca, all’inizio del Campionato europeo, vi erano stati solo pochi contagi, mentre in Inghilterra il numero di casi era già alto.

Anche il tasso di riproduzione, il famoso Rt, era già relativamente alto in Inghilterra; per questo motivo, alla fine i casi per milione di infezione in eccesso che si stima si siano verificati in Inghilterra in conseguenza dei campionati di calcio sono risultati circa 24 volte più alti rispetto alla Repubblica Ceca. In altre parole, poiché in questo tipo di tornei i tifosi tendono ad aggregarsi formando bolle di uguale nazionalità, l’isolamento fra le tifoserie delle varie nazioni ha significato una evoluzione diversa per tali gruppi di persone, dipendente dal livello di infetti presenti inizialmente che ha condizionato la successiva dinamica. I contagi si sono verificati meno negli stadi che nelle riunioni private al chiuso, ad esempio nei pub e nelle case. E, naturalmente, le infezioni non si sono fermate nei giorni delle partite, perché ogni persona infetta ha avviato una catena di infezione, attraverso la quale, secondo le stime, una media di altre quattro persone è stata infettata per ogni portatore di virus durante il periodo di studio che copre fino alla fine del luglio 2021.

Considerando tutti i dodici paesi studiati, le stime hanno mostrato un totale di circa 840.000 contagi aggiuntivi causati dal torneo. Per il mondiale, non si sono potuti ottenere dati simili a quelli degli europei, perché i dati sull’infezione per molti paesi non erano più disponibili con i dettagli necessari. I risultati pubblicati indicano a questo punto che la decisione circa lo svolgimento di eventi che presuppongono forte aggregazione, specialmente in luoghi chiusi, può essere presa sulla base del pre-esistente livello di circolazione virale: in presenza di Rt e numero di casi relativamente bassi, il rischio è limitato, ma fasi di ripresa epidemiologica dovrebbero portare al rinvio delle grandi aggregazioni, specie quando si prevede che queste si verificheranno ripetutamente e su un periodo piuttosto esteso, come è il caso dei più importanti eventi sportivi internazionali.

Oltre a questo risultato interessante, resta poi naturalmente smentito chi, senza basi o con analisi artefatte, andando contro quanto conosciamo dei meccanismi di trasmissione del virus pretendeva di aver dimostrato l’assenza di conseguenze epidemiologiche a seguito dei grandi eventi calcistici occorsi durante la pandemia; il virus, come sempre, fa il virus, e non si piega alle idee di chi finge di ignorare il semplice meccanismo sulla base del quale si propaga.

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