di Gianmarco Di Napoli per il7 Magazine
Ci sarebbe un “pentito” tra i 65 indagati per le maxi truffe alle assicurazioni a Brindisi: uno dei medici che, secondo gli inquirenti, rivestiva un ruolo di primissimo piano nell’organizzazione, avrebbe deciso di collaborare con gli investigatori rispondendo alle domande del magistrato inquirenti e probabilmente fornendo ulteriori particolari a un’indagine che appare comunque “blindata”. Dalle carte depositate dalla procura di Brindisi al Tribunale del Riesame, in circa 700 pagine corredate da intercettazioni ambientali, video e telefoniche e integrate da fotogrammi che ritraggono gli indagati durante la consegna di documenti o di denaro, emerge un quadro documentato di oltre trenta truffe compiute ai danni delle compagnie assicurative per centinaia di migliaia di euro.
L’indagine, denominata “Crash” e condotta dai carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile della compagnia di Brindisi, e la cui prima fase è stata completata il 24 ottobre scorso con una dettagliata informativa inviata al pm Luca Miceli, ha avuto un primo clamoroso sviluppo il 6 dicembre con le perquisizioni effettuate dai carabinieri negli studi, negli uffici, nelle abitazioni e nelle auto degli indagati. Sono stati sequestrati computer, supporti digitali e smartphone.
Dalle carte depositate in procura emerge anche qual è stato l’episodio (anch’esso a suo modo inquietante) che nel 2020 ha portato all’apertura dell’inchiesta: un poliziotto in servizio presso la questura di Brindisi contattò il titolare di una rivendita d’auto (qualche tempo dopo morto in un tragico incidente in motocicletta) chiedendogli di farsi da intermediario con un avvocato brindisino, che poi si comprenderà essere il capo dell’organizzazione. Il poliziotto voleva avvisarlo che la squadra mobile aveva avviato nei suoi confronti un’inchiesta connessa alle truffe alle compagnie assicurative nella quale l’avvocato risultava essere coinvolto.
Ovviamente la “soffiata” del poliziotto aveva un prezzo: “Siccome sta facendo tanti soldi, mi può comprare un appartamento verso Granchio Rosso”, dice mentre viene intercettato. In effetti successivamente l’incontro tra il poliziotto e l’avvocato avviene. Ma da quel momento i carabinieri, che evidentemente effettuavano intercettazioni per un’altra indagine, aprono un nuovo fascicolo in cima al quale viene scritto il nome dell’avvocato A.N. che verrà poi individuato come la mente e il capo della presunta associazione criminale.
I reati che vengono man mano attribuiti alla “banda” costruita intorno al legale, iscritto presso l’albo del Foro di Taranto con il titolo di “avvocato stabilito” (avendo conseguito la qualifica professionale in Spagna) sono di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di plurimi delitti di frode assicurativa, falsità per induzione in atti pubblici, falsità in certificati medici e falsa testimonianza mediante la commissione di sinistri stradali ad hoc allo scopo di conseguire sovrastimati risarcimenti (anche per elevatissimi importi) per danni fisici.
Da questo momento in poi l’avvocato A.N. viene intercettato e pedinato e, secondo gli inquirenti, pur non esercitando formalmente la professione, egli predisponeva le strategie criminali del gruppo decidendo quali erano i reati da compiere (le false denunce di sinistri da inviare alle compagnie assicurative, i falsi certificati medici da predisporre, i danneggiamenti fraudolenti degli autoveicoli da procurare) per assicurare alla banda e sopratutto a se stesso gli illeciti profitti provenienti dal pagamento degli indennizzi da parte delle compagnie assicurative truffate. Per l’avvocato si parla anche di decine di migliaia di euro per ogni finto incidente come proprio margine di guadagno. Tolta la sua parte consistente, l’avvocato provvedeva a dividere gli incassi consegnando somme consistenti di denaro agli altri professionisti (soprattutto medici) che facevano parte dell’organizzazione, riservando somme esigue di denaro in misura fissa ai conducenti di uno e dell’altro veicolo coinvolti nei finti incidenti.
Era lui a curare personalmente i rapporti con i principali personaggi coinvolti in una struttura organizzativa perfetta: M.S., medico ortopedico dell’Ospedale Perrino in servizio al pronto soccorso; S.S., medico ortopedico in pensione e già in servizio presso l’ospedale Perrino, incaricati di redigere i falsi certificati, compresi quelli di prolungamento della malattia dei presunti danneggiati. Una documentazione fondamentale perché fornita da una struttura pubblica e che dunque non era contestabile dalle compagnie assicurative. Inoltre M.M., medico radiologo presso la Clinica Salus, struttura accreditata presso il Servizio Sanitario nazionale, deputato a eseguire gli esame strumentali.
L’avvocato curava direttamente i rapporti con i medici legali: A.C., dirigente medico anche presso l’Inail di Brindisi, la dottoressa A.A., dirigente medico anche presso l’Inail di Brindisi e D.S., dirigente medico presso la direzione sanitaria dell’ospedale di Francavilla Fontana, i quali, come medici fiduciari incaricati dalle compagnie assicurative, dietro illecito compenso, redigevano le perizie medico-legali conclusive, indicando in essere una sopravvalutatala percentuale d’invalidità per danni fisici nei confronti di finti soggetti danneggiati.
Terzo anello dell’ingranaggio alimentato dal legale i suoi colleghi: gli avvocati G.D e V.B. del foro di Brindisi, A.T. del foro di Taranto, e l’avvocata R.R., quest’ultima del foro di Napoli. Tutti, su indicazione del “capo”, assumevano il patrocinio e la difesa nella fase stragiudiziale precedente al giudizio dei presunti danneggiati coinvolti nei finti incidenti rispettando le disposizioni e gli ordini impartiti.
L’avvocato A.N. si occupava anche di pianificare i finti incidenti con il reclutamento di soggetti che di volta in volta erano ingaggiati da personaggi di primo piano della criminalità brindisina che avevano rapporto costanti con il legale.
In tutta questa struttura, organizzata in maniera scientifica, il dottor A.C., per altro medico legale di fiducia della procura di Brindisi da oltre un decennio, secondo i carabinieri, dietro compensi, fungeva da tramite tra l’avvocato e i medici fiduciari incaricati dalle compagnie assicurative. Una delle telecamere nascoste, dotate di microfono, è stata collocata proprio nell’ambulatorio del medico, presso l’Inail di Brindisi.
Sono stati così immortalati quelli che gli investigatori ritengono passaggi di denaro che veniva consegnato al medico, una parte del quale teneva per sé e un’altra parte consegnava ai colleghi complici.
Un altro personaggio centrale è il dottor M.S., l’ortopedico del pronto soccorso, protagonista di decine di incontri intercettati e filmati con l’avvocato. Ma anche colui il quale in una conversazione con una collega radiologa del Perrino (che poi diventerà a sua volta complice dell’organizzazione, la dottoressa T.C.) svela la “grandiosità” di questo sistema criminale: “Noi facciamo parte della parte più alta di questo sistema. sotto ci sta un maresciallo della Finanza, un capitano, uno dei carabinieri. Tutta gente che cerca di tenere tranquillo questo sistema”.
L’ortopedico avrebbe incassato 350 euro per ogni finta consulenza effettuata in ospedale e 70/100 euro per i certificati di prolungamento della malattia.
Le intercettazioni hanno dimostrato che i rapporti tra i componenti dell’organizzazione erano rimandati a incontri di persona e utilizzando chat di messaggistica istantanea come Telegram e Whatspp per evitare, per quanto possibile, di tracciare comunicazioni tra di loro.
L’avvocato A.N., presunto capo dell’organizzazione, aveva un’altra abitudine: spesso parlava da solo. Generalmente prima di incontrare i complici si preparava e ripeteva le cose che avrebbe dovuto dire loro.
Nell’indagine compaiono anche nomi di persone e di professionisti che probabilmente non hanno avuto a che fare con l’organizzazione e che si sono ritrovati inconsapevolmente coinvolti nel meccanismo. Per questo avranno un valore fondamentale gli elementi probatori raccolti nel corso delle perquisizioni e che da oltre un mese sono al vaglio degli inquirenti. Un lavoro che senza dubbio avrà un nuovo impulso dalla decisione di uno dei personaggi-chiave dell’inchiesta di collaborare con la magistratura.
Il pm Luca Miceli, una volta acquisiti tutti gli elementi, dovrà decidere se compiere ulteriori passi per delineare definitivamente i contorni della vicenda.