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Felice Sciosciammocca: al Tram è di scena il teatro farsesco – Cultura a Colori

Roberto Capasso porta sulla scena il teatro farsesco, un genere nato due secoli fa.

L’occasione di farlo – o per meglio dire di rifarlo – arriva con lo spettacolo Don Felice Sciosciammocca creduto guaglione ‘e n’anno,  in scena al teatro Tram fino a domenica 8 dicembre.

Con lui Nello Provenzano, Valeria Martiniello e Miriam della Corte.

Si tratta del terzo lavoro registico di Capasso dedicato a questo genere.

“La mia sfida era portare sulla scena le opere di Petito, un autore davvero folle, rispettando la tradizione.l, ma innovandola senza snaturarla. Lo scopo originario di Petito era semplicemente quello di far ridere: io porto sulla scena la mia riproposizione. E’ sicuramente un teatro non comodo: un’operazione che comporta rischi, perche’ potrebbe non essere compresa dal pubblico”.

La prima parte è tutta affidata ai movimenti del corpo e alla musica di Alessandro Tartaglia. Infatti, tutto comincia con le azioni in musica tipiche del teatro di donna Peppa.

Donna Peppa, come racconta il regista e attore, è una donna dell’800, atipica per i suoi tempi, una vera e propria impresaria, che curava tutte le le fasi della messa in scena e del dietro le quinte.

Lo spettacolo rappresenta anche un omaggio a Scarpetta e in esso rifluiscono le eco del suo teatro delle guarattelle con le azioni e le frasi ripetute fino a diventare un loop.

Nella prima parte della rappresentazione è tutto affidato alle azioni che si intrecciano con la musica – per questo sono definibili come azioni in musica – a indicare che il gesto, il corpo e la musica, prima ancora che le parole,  racchiudono in sé  tutta la forza espressiva del teatro.

Donna Peppa – emblema del teatro primigeneo – emette un grido, un lamento, e con questo partorisce Felice Sciosciamocca, che viene lavato e vestito.

Sono presenti pochi elementi scenici, ma di fondamentale importanza, come nel caso di alcune stoffe che vengono srotolate e rappresentano idealmente una placenta da cui originariamente nasce il personaggio.

In seguito divengono tappeti e quinte teatrali, a nascondere – per poi rivelare – i personaggi stessi.

Peppa,  con una nenia, poi sveglia Pulcinella, simbolo di un genere antico, forse ormai superato, tant’è vero che, per farlo, deve soffiar via una spessa coltre di polvere.

Negli scontri sagaci tra i due personaggi si intuisce la storica rivalità esistente tra Petito e Scarpetta, tanto è vero che quest’ultimo cercò di ingaggiare Vincenzo nella sua compagnia, per neutralizzarlo.

Nella seconda parte c’è la storia vera e propria, finalizzata a far ridere, ma anche a far riflettere.

Si tratta di personaggi in parte surreali e grotteschi. Al puro divertissement si alternano diversi registri di recitazione e tipi di interpretazione all’insegna della contaminazione, come evidenzia lo stesso Capasso.

“La mia esperienza – racconta il regista – ė frutto anche anche della collaborazione ventennale con Arturo Cirillo. Si tratta di un’operazione sperimentale, che arricchisce la tradizione rinnovandola attraverso occhi contemporanei,  producendo un effetto spiazzante. I miei personaggi sono ispirati anche al Pinocchio di Carmelo Bene”.

Gli attori dialogano fluidamente tra loro dando vita a macchine comiche di grande effetto. Il pubblico, poi, diviene parte dello spettacolo, modulandone l’atmosfera attraverso le sue reazioni.

Le due donne rappresentano a loro volta dei tipi: l’una è più felice e spensierata,  anche perché  sa che se vuole cambiare la sua vita deve sedurre Felice Sciosciammocca.

L’altra – che incarna un po’ lo spirito di donna Peppa – è più malinconica e introspettiva, quasi drammatica, perché reca su di sé il peso delle responsabilità.

In chiusura, Capasso ricorre a un’altra trovata scenica:  Sciosciammocca e Pulcinella, che si sono rincorsi e scontrati durante tutta la narrazione – l’uno vittima delle sue fissazioni, con le quali intrattiene una sorta di dialogo dagli effetti esilaranti; l’altro preso dai morsi della fame – si accapigliano su chi debba essere il capocomico e chiudere lo spettacolo.

“Sono ricorso – ribadisce Capasso – a in codice stilistico e a uno stile teatrale precipui, basati sull’uso del corpo e della musica. Oltre a raccontare una storia, racconto qualcosa di questo genere. Per esempio, oltre a Pulcinella,  Petito portò in scena anche il suo alter ego: Pasquariello Scarnecchia. Questo perché Scarpetta lo aveva accusato di far ridere solo attraverso la maschera e lui voleva dimostrargli il contrario”. 

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