La lotta alla mafia che era prima di tutto rivolta contro i riti borghesi dell’oppressa Sicilia
Nicola Biondo — 8 Gennaio 2023
Un vecchio che piscia in mare, una scritta sbiadita e sullo sfondo una nave militare americana. Questo è ciò che vedete. Tutto in bianco e nero, non potrebbe essere altrimenti. E non tanto perché è il 1978 quando questa foto viene scattata ma perché l’immagine esce fuori da un archivio e gli archivi sono per definizione senza colori, anche quando sono digitalizzati sembrano portare la polvere addosso. Facile dirsi che arriva da un mondo che non esiste più, in un tempo maledetto e immobile. Al contrario tutto quello che agita il dibattito politico in fondo viene da lì: il comunismo e il suo anti (ovvero la guerra fredda), il paese vecchio e il paese vassallo, la guerra americana per non dire che era anche italiana, esattamente come oggi.
Siamo nel mar Tirreno, la costa è quella tra Cinisi e Terrasini in provincia di Palermo e la foto è una testimonianza del tutto inedita dell’opera di controinformazione del gruppo di Peppino Impastato, l’attivista siciliano ucciso il 9 maggio 1978. Il contesto e l’immagine provengono dallo sterminato archivio fotografico di Paolo Chirco, una di quelle api operaie che dava forma e sostanza all’esperimento libertario, e comunista certo, anche comunista ma non solo, che fu Radio Aut. Quarantaquattro anni dopo esser stata scattata e archiviata, quarantaquattro anni dopo la morte straziante e depistata-e poi cosparsa dalla melassa delle rievocazioni-di colui che fu prima di ogni cosa un irregolare alla periferia dell’Impero Occidentale, una prima linea dove si combatteva non tanto la mafia ma le buone tradizioni borghesi (che erano anche mafiose) di una morale che a Cinisi, e non solo a Cinisi ma in tutte le enclave di provincia, era in pieno stile iraniano: niente baci in pubblico, lo struscio nel paese rigorosamente separato tra marciapiedi per maschi e marciapiedi per femmine, con la variante siciliana che prevedeva la fuitina e magari pure un colpo di lupara. Quarantaquattro anni dopo dentro la foto di Chirco sembra che siano rimaste blindate non solo quelle immagini, evocative quanto si vuole, ma l’anima e la propaganda di un intero Paese: questo.
Ancora qualcuno parla di comunismo per ammantare di una qualche nobiltà l’ultimo satrapo di Mosca ( dove l’indice di felicità è pari a quello di uno slum di Nairobi se non si è figli o parenti di un oligarca) e in testa alle agende di tutti i governi ci sono le pensioni mentre da decenni intere generazioni fuggono per lidi meno ipocriti e limacciosi. E dove ancora c’è un antiamericanismo straccione e nessuna idea di futuro: un tutto declinato al passato. Come se la guerra fredda, e le sue miserabili e luttuose appendici, non fosse mai finita. L’immagine di Chirco racconta di quel presente, a Cinisi e in mille altri paesi di quel vasto Sud che non ha coordinate geografiche ma miti fondativi e che si poteva trovare dalle valli del Trentino alla Sicilia, con le città come macchie di modernità. Di quel presente della fine dei 70 che per quanto riguarda la Sicilia è diventato patrimonio nazionale solo dopo la mattanza del ’92 e che ha avuto bisogno di un film –I Cento passi, struggente e per certi versi fuori sincrono con la vulgata della morte per mano mafiosa, solo mafiosa- per borghesizzare uno come Impastato che borghese non lo era e chissà se lo sarebbe mai diventato, difficile pare. Irregolare, si diceva, perché comunista ma non stalinista, irregolare perché non affiliato al Pci del compromesso storico e perché schifava la lotta armata e gli assalti al cielo bolognesi e padovani, troppo fighetti, troppo “arancioni”. Irregolare perché non c’era altro modo in quel tempo e quello spazio, a quelle latitudini.
Un giorno avvertito dai compagni del gruppo “musica e cultura” si incuriosisce di una nave da guerra americana alla fonda di fronte Cinisi. Chirco, giovanissimo ma già devoto alla fotografia, finisce quasi in acqua per scattare decine di foto, alcune delle quali hanno un ché di sinistro: elicotteri che trasportano casse coperte dalla nave (dal nome evocativo “Santa Barbara”, cosa volete che potesse trasportare?) fino alla pista dell’aeroporto di Punta Raisi, feudo del boss Tano Badalamenti e dalla quale partivano aerei inzeppati di olio d’oliva ed eroina. Qui le casse venivano caricate su camion, alcuni dei quali non militari, e da qui finite chissà dove. La foto del vecchio che piscia in mare dove staziona una nave da guerra e un muretto con la scritta “Il comunismo non passerà” sono parte di un fondo di immagini recuperate nell’ambito di una indagine della disciolta Commissione Antimafia su uno dei più misteriosi cold case siciliani, l’eccidio di Alcamo Marina: due carabinieri uccisi in una caserma e cinque ragazzi innocenti finiti all’ergastolo dopo immonde torture. Fu uno degli ultimi bagliori della controinformazione targata Impastato e Radio Aut: l’attivista di Cinisi cercava il fuori scena di quell’eccidio e conservava nella casa materna una voluminosa cartelletta dedicata al mistero di Alcamo Marina. Tutto finì inghiottito da un atto illegale: un “sequestro informale”- così senza vergogna recita il verbale degli inquirenti- ha risucchiato quell’ultimo file di indagine di Impastato e nessuno sa che fine abbia fatto.
Di sicuro c’è poco ma quel poco spinge la logica a ridestarsi dall’angusto isolamento a cui certe sentenze l’hanno costretta: la cartelletta di Impastato, quella sull’omicidio di due carabinieri (ancora oggi senza colpevoli e senza movente) è finita in qualche armadio della Legione dei Carabinieri di Palermo (dove la Commissione Antimafia non è riuscita ad entrare, nouvelle vague del segreto di Stato, annus domini 2022), in quelle stesse stanze dove la sentenza sull’omicidio dell’attivista fu veloce e brutale, mentre le viscere del morto erano ancora calde e sparse nella campagna intorno Cinisi: “era un terrorista, si è suicidato utilizzando esplosivo”. E rimane un fatto che in un brandello di terra siciliana, tra Cinisi e Trapani in dieci anni muoiono gli ultimi protagonisti della controinformazione, Mauro Rostagno e Giuseppe Impastato i cui rispettivi ultimi passi sono stati compiuti su piste d’atterraggio, ad osservare mezzi militari e misteriose casse di armi. Come è un fatto che per entrambi i delitti si mosse un dispositivo ben oliato con l’obiettivo di depistare e obliterare tutto.
Ma di questo ci sarà tempo per raccontare. In attesa di un romanzo che riesca a deragliare dal piattume giudiziario e che ridia colore a quegli anni della ferocia- una sorta di Sicilian Tabloid, ecco cosa servirebbe- rimangono i fantasmi in bianco e nero imprigionati nelle foto di Paolo Chirco, foto colpevolmente mai richieste dagli inquirenti che di recente hanno chiuso un’inchiesta sui depistaggi di Cinisi. Alcuni fanno quasi tenerezza, altri costringono a guardarci dentro per come siamo invecchiati male. Perché siamo un po’ tutti rimasti lì dentro, tra il mare, una pisciata di un vecchio e uno slogan. Con sullo sfondo la guerra, la solita guerra.
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