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Liggio, Provenzano e Riina: storia delle latitanze più lunghe e di come sono finite – Il Riformista

I più ricercati d’Italia

David Romoli — 17 Gennaio 2023

Liggio, Provenzano e Riina: storia delle latitanze più lunghe e di come sono finite

Oltre che i più sanguinari nella storia di Cosa Nostra i corleonesi sono stati anche i maestri insuperati della latitanza, prolungatasi per decenni anche se i capi dei “viddani”, come li chiamavano le sprezzanti famiglie dell’aristocrazia prima di finire sterminate, per lo più non si sono mai allontanati molto da casa. I boss della cosca figurano ininterrottamente nella lista dei più ricercati d’Italia sin dal 1948. Nel novembre di quell’anno Luciano Leggio, conosciuto come Liggio per un errore di trascrizione, avrebbe dovuto presentarsi in tribunale per essere spedito al confino. Era sospettato dell’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto, per conto del capomafia locale, il medico Michele Navarra. Non si fece vedere, entrò in latitanza e ci si rimase per 16 anni, anche dopo l’assoluzione per insufficienza di prove per quel delitto nel 1952. Lo ribattezzarono subito “la primula rossa”.

La latitanza non ha mai ostacolato i corleonesi nei loro affari. In quei 16 anni Leggio ebbe modo di mettersi in proprio, creare un paio di società, arrivare ai ferri corti con Navarra per la costruzione di una diga. Il medico provò a fare ammazzare Leggio nel giugno 1958. Non ci riuscì e a finire assassinato in un agguato fu invece lui, in agosto. La latitanza di quello che era diventato il padrone di Corleone finì il 14 maggio 1964. Lo trovarono nascosto nel posto più insospettabile, in casa di Leoluchina Sorisi, ex fidanzata proprio di Placido Rizzotto. Attilio Mangano, noto superpolizotto, riuscì ad attribuirsi senza gran fondamento il merito dell’arresto. In compenso lo stesso Mangano aveva davvero messo in manette, l’anno prima, il principale luogotenente di Leggio, Salvatore Riina, detto Totò. Di luogotenenti che gli diedero una mano nello sterminare i “navarriani” Leggio ne aveva altri due, destinati entrambi a campeggiare nella lista dei superlatitanti. Uno era Bernardo Provenzano, alla macchia dal 10 settembre 1963, accusato di aver eliminato alcuni rivali della fazione di Navarra. Quando lo presero, nel 2006, vantava un record insuperato: 43 anni latitante.

L’altro picciotto di Leggio a cui la polizia diede la caccia per decenni, Calogero Bagarella, fratello maggiore di Leoluca e della moglie di Riina Antonietta, latitante dal 1957, non avrebbe dovuto far parte della lista dei ricercati ma di quelli dei morti. Era stato ucciso nella strage di via Lazio del dicembre 1969, a Milano, quando killer di varie cosche travestiti da finanzieri regolarono i conti con Michele Cavataio, protagonista a inizio decennio della prima guerra di mafia. Il soprannome di “u’ tratturi” Binnu Provenzano se lo guadagnò quel giorno. Nella sparatoria ci rimise la pelle anche Bagarella ma i corleonesi si portarono via il cadavere e la polizia continuò a cercarlo fino al 1987, quanto il pentito Antonino Calderone vuotò il sacco. Leggio e Riina furono assolti nel 1969 e se andarono insieme a vivere a Bitonto. Entro la fine dell’anno sarebbero stati entrambi di nuovo latitanti. Leggio fu tradito cinque anni dopo da quattro bottiglie di Dom Perignon. Le trovarono nel nascondiglio in cui era tenuto prigioniero il sequestrato Luigi Rossi di Montelera e di lì arrivarono al nascondiglio milanese di Leggio con il sospetto, mai dimostrato, che a vendersi il capo fossero stati gli scalpitanti vice.

Riina rimase latitante per 33 anni e la sua sanguinosissima carriera in quei decenni è universalmente nota. Ignote, o almeno fortemente sospette, sono invece le circostanze del suo arresto. La mancata perquisizione della sua abitazione, la presunta scomparsa di documenti deflagranti da quell’appartamento ma anche il dubbio universale che a permettere la cattura di un boss dittatoriale, diventato scomodo sia per la intollerabile ferocia che per la caccia a tappeto che gli veniva data dopo gli omicidi Falcone e Borsellino, sia stato il suo compare di sempre, Binnu Provenzano. L’ex “tratturi” fu arrestato 13 anni dopo, l’11 aprile 2006, seguendo la pista dei suoi “pizzini”, i foglietti in calligrafia minuta a cui si affidava per comunicare con i suoi uomini. Col tempo l’ex “tratturi” era diventato più cauto e diplomatico, un moderato malato che forse scelse la resa. Di certo appena preso in un casolare a 2 km da Corleone si complimentò con i poliziotti, ci tenne a stringer loro la mano. La palma del più ricercato passò a Matteo Messina Denaro, in fuga dal 1993. Lo hanno catturato a trent’anni esatti dall’arresto di Riina. Se si tratta di una coincidenza è tra le più eloquenti.

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