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“Vi racconto una giornata nell'inferno del carcere, uno spazio dove esistono solo i morti viventi” – Il Riformista

M. ha trascorso molto tempo in carcere. Se c’è una cosa che proprio non riesce a dimenticare è il silenzio “rumoroso” della notte, tra grida di aiuto inascoltate e quando anche il più piccolo scricchiolio è aumentato a dismisura, “per non parlare delle chiavi, quando ti chiudono il blindo fanno un rumore infernale, particolare, che ti rimane nella testa finché vivi”, scrive. Poi c’è il grigio che predomina su tutto e trasmette ai detenuti un senso di disperazione. M. racconta che per lui è stato fondamentale continuare ad avere una precisa cura di se stesso, anche se rinchiuso tra quattro mura strettissime, perchè, racconta “non si deve perdere mai la dignità, forse l’unica cosa che rimane alle persone recluse”. Ancora più importante per affrontare l’inferno del carcere è stata la possibilità di lavorare: “Affronto la giornata lavorativa con molta professionalità, e questo mi ha salvato in questi lunghi anni. Essere utile per me stesso e per gli altri”, scrive. Poi la doccia con l’acqua gelata come se fosse un’ulteriore punizione, e pranzi e cene prestissimo per poi tornare alla solita routine: la rumorosa notte, il brusio dell’alba con l’odore del caffè nel naso e negli occhi il grigio di tutto e le richieste di aiuto troppo spesso inascoltate. Riportiamo di seguito la lettera di M. A Sbarre di Zucchero.

Non è poi così difficile descrivere una giornata tipo in carcere, per uno che come me ha passato molti anni della sua vita e sulla propria pelle l’inferno del carcere. Vorrei iniziare proprio dalla notte, difficilmente si possono dimenticare le notti passate in carcere. Disteso nel letto di metallo contemplo il soffitto, vedo la solita crepa, che nel tempo è diventata sempre più marcata, nell’angolo della stanza la tela di un ragno, che nessuno ha mai pensato di togliere, in fondo quando si è soli anche il ragno tiene compagnia. Però sembra strano, mai mi sarei immaginato in vita mia di essere controllato mentre dormo. Se ci pensate è un privilegio per pochi, ma che non auguro a tutti.

Cerchi di dormire, che poi in carcere dormire è una parola grossa, pensandoci bene o prendi dal carrello magico dell’infermiera le gocce o pasticche che ti fanno addormentare all’istante, ma è un sonno artificiale, oppure senti tutti i rumori immaginabili nel profondo silenzio della notte, anche il più piccolo spostamento di uno sgabello è un rumore amplificato, per non parlare delle chiavi, quando ti chiudono il blindo fanno un rumore infernale, particolare, che ti rimane nella testa finché vivi,  fino al passo pesante delle guardie, che ogni ora fanno il giro delle celle per controllare che tutto sia tranquillo, e quella luce che viene accesa anche per pochi secondi. Ma che tu comunque percepisci, interrompendo quel sonno leggero, che a volte ti fa rimanere sveglio fino al mattino, non riuscendo più a prendere sonno. Insomma, anche la notte in carcere non è molto gradevole. Eppure, durante la notte avvengono la maggior parte dei suicidi, pertanto questo controllo non serve quasi a nulla se non a svegliarti.

Poi alle prime luci dell’alba, inizia un brusio di tv che parlano ininterrottamente, non importa cosa trasmettono, ma l’importante è che siano accese per tutto il giorno, un tempo interminabile di parole, se solo servissero a far capire che il tempo perso in carcere è un tempo perso se non si pensa al futuro. Mi alzo e preparo il mitico caffè: questo è un rito che ogni detenuto affronta quasi in contemplazione. Prendo la moka, metto l’acqua e già immagino il profumo che riempie la mia stanza. Certo basta una macchinetta piccola, perchè la stanza è talmente microscopica, che una moka grande riempirebbe l’intera sezione. Poi metto sul fornello la caffettiera e aspetto che esca il caffè. Quando sento il rumore le mie papille gustative già pregustano il suo sapore, prendo il bicchierino di carta perchè di altro materiale è vietato e aspetto che si freddi un po’.

Poi lo degusto davanti alla finestra e guardo il panorama, che è sempre uguale. Il muro di cinta grigio. Una cosa che non ho mai capito del carcere, perchè deve essere tutto grigio. Non vi è colore nel carcere, forse volutamente, questo non lo so. Un carcere grigio fa aumentare la depressione. Pensa un carcere a colori: darebbe gioia anche alle persone detenute che ci vivono, e alle persone che vengono a trovarti. Prendo il caffè, lo sorseggio pensando a quando finalmente potrò gustarlo seduto davanti al mare…la mente spazia in ogni luogo quando ti fermi a pensare…

Mi rado ogni mattina, mi piace essere in ordine, anche se siamo reclusi dentro quattro mura grigie non si deve perdere mai la dignità, forse l’unica cosa che rimane alle persone recluse. Perché i diritti anche se costituzionalmente scritti, non esistono più quando si varca quel cancello. Mi vesto e mi preparo per affrontare la mia giornata: in carcere se sei fortunato lavori. Ecco il lavoro, questo rende una persona dignitosa, perchè non devi dipendere dalla tua famiglia, o dai volontari o dalla beneficenza di altri detenuti, perchè le persone detenute si aiutano molto tra di loro. Il lavoro è fondamentale, ti aiuta a capire i sacrifici che fai per arrivare a prendere lo stipendio, non dai tutto per scontato. Affronto la giornata lavorativa con molta professionalità, e questo mi ha salvato in questi lunghi anni. Essere utile per me stesso e per gli altri.

Poi ci sono giorni dove ci sono colloqui con i familiari, allora cambia totalmente la giornata, ci si alza con uno spirito diverso, si prepara qualcosa per mangiare insieme, si fa la doccia e poi ci si veste con un po’ più di attenzione: tutto deve essere impeccabile, loro non devono vedere in te la sofferenza, o che stai male per tutto quello che affronti e affrontano loro insieme a te, devi sempre dare la sensazione che insieme si può superare questo momento difficile, e quante volte dopo aver avuto un rigetto da parte del magistrato devi farti coraggio e dirgli che va tutto bene, e che le cose si aggiusteranno… e quante volte mi è successo in questo lungo periodo. Ma quando vedevo mia figlia e mio figlio, un sorriso si stampava nella mia faccia, e loro si rasserenavano. Il distacco da loro era molto meno traumatico, perchè è assurdo che si possa credere di tenere un rapporto decente con la famiglia in una sola ora di colloquio, non riesci neppure a dire quello che senti per loro… ma qui in Italia è così, dicono che vogliono cambiare, ma credo che sia molto difficile, i tempi non sono ancora maturi perché questo accada, la maggior parte della società è più sicura buttando la chiave, non sapendo che il carcere deve essere un luogo dove si sconti la pena, cercando però di recuperare valori e metabolizzando gli errori del passato, solo così si può uscire consapevoli della propria coscienza. Solo così la società avrà maggior sicurezza, restituendo persone consapevoli della loro nuova vita.

Passata la mattinata, tra lavoro, studio e colloqui, il pomeriggio il carcere si ferma, come se il tempo si cristallizzasse. Mi sembra illogico, il mondo è proiettato verso l’utilizzo massimale del tempo, mentre le persone detenute ne fanno uno spreco immenso. Si potrebbe utilizzare questo tempo per risarcire la società, con delle attività di pubblica utilità. Ripulire i giardini, pulire gli spazi pubblici, accudire gli anziani (certo i detenuti ci metterebbero tanto amore).

Io finito di lavorare torno nella mia stanza, dove leggo molto, e ricevo i miei compagni per prendere un caffè, qualsiasi scusa è sempre buona per fare un buon caffè. Giochiamo a carte, si discute di calcio, tutto questo per arrivare alla cena, altra cosa fuori senso, in carcere si pranza presto, e si cena prestissimo. Quasi una vita da monaco tibetano, non si può uscire da certi canoni non scritti ma che esistono in carcere. Prima si pensa alla pulizia personale, si fa la doccia, quando l’acqua calda lo permette, altrimenti bisogna aspettare che si ricarichi lo scaldabagno, questo è uno dei problemi più seri in carcere, vorrei sapere dove è scritto che una persona detenuta deve lavarsi con acqua fredda. In tutto questo lungo tempo sia estate che inverno mi sono lavato con acqua fredda, e quante volte ho fatto la doccia con acqua gelata… questa punizione in più a cosa serve? Certo non a migliorarmi, ripeto la dignità prima di tutto, e una persona che non pensa alla sua pulizia perde la sua dignità.

Fatta la doccia ci si prepara a cenare, questo è dovuto alla chiusura della cella, infatti se vuoi mangiare insieme ad altri compagni, con cui condividere le prelibatezze che si cucinano in carcere o per mangiare il cibo che i tuoi familiari ti hanno portato con tanto amore, devi farlo alle 19.00, altrimenti non riesci poi a sistemare le pentole e il resto, gli spazi sono ristretti non puoi lasciare tutto in mezzo. Finito di mangiare si lavano le pentole e poi si passeggia un po’ per il corridoio, si dice per digerire. Poi una volta chiusi si sta sulla branda fino alle 8.30 del mattino seguente… 12 lunghe ore, dove devi trovare il tuo spazio vitale. C’è chi scrive una lettera, chi legge, chi guarda la tv, a me personalmente piace leggere, ho riscoperto il gusto di farlo: ti fa evadere dalla routine del carcere, ma non la diciamo, questa parola…in carcere è vietata.

In questo lungo tempo rimani con te stesso, e devi trovare la concentrazione su quello che fai, i rumori, le grida di disperazione ti distraggono, e tutto quello che si sente una volta chiusi in stanza non sai mai da dove provenga, perchè le voci sono tutte uguali attutite dai blindati chiusi, dalla tv accesa. Ma queste richieste di aiuto non vengono quasi mai ascoltate, in carcere poca gente ti ascolta, e chi lo fa, molto spesso lo fa con poca attenzione. Tante volte è troppo tardi per salvare un ragazzo in difficoltà… 83 persone detenute che si sono tolte la vita… questo dipende molto dal fatto di non essere ascoltati e dalle difficoltà di chi è solo. Se ci fosse più ascolto alle richieste d’aiuto, se ci fosse più personale qualificato che riuscisse a comprendere le difficoltà di chi parla…tutto questo forse non accadrebbe. Poi ricomincia la notte, i rumori, i passi pesanti…si ritorna in quello spazio dove esistono solo i morti viventi… noi detenuti.

a cura di Rossella Grasso

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